“Sono due etti e mezzo, che faccio, lascio?
Come trarre un’importante lezione di business per massimizzare i tuoi profitti, partendo da un esperimento Italia-USA su due pizze.
Immagina che al perfetto “Avatar” del tuo cliente, a colui che vorresti ti fosse fedele nei secoli dei secoli, venisse data la possibilità di creare “un prodotto ad immagine e somiglianza dei suoi più profondi desideri”.
Saresti in grado poi, di metterti COMPLETAMENTE nei suoi panni e scommettere su cosa porterebbe ad una vendita più redditizia per la tua attività?
Chiudi gli occhi e pensaci qualche secondo.
Ci sei?
Bene.
Adesso però, ti suggerisco io due alternative sulle quali riflettere.
Per la creazione del prodotto “dei desideri”, pensi che il tuo cliente sceglierebbe di:
- cominciare da un prodotto di base aggiungendo le varie componenti desiderate (building up)
- cominciare da un prodotto completo eliminando le componenti indesiderate (scaling down)?
Non avere fretta di indovinare, al termine di questo articolo troverai la risposta.
Partiamo con l’approfondimento di uno studio empirico su una categoria di prodotti chiave cioè, i beni non durevoli, come pizze ed insalate.
Vengono presi in considerazione due diversi processi quali: lo “scaling down” e il “building up” in relazione poi, a due diverse culture, quella statunitense e quella italiana.
Esistono quindi influenze culturali nell’individuazione di un processo decisionale piuttosto che un altro?
Non avere fretta, continua a leggere.
Partiamo dalla definizione dell’effetto dotazione, utile per introdurre tutta l’argomentazione che leggerai a breve.
L’effetto dotazione è un fenomeno che consiste nella tendenza delle persone ad assegnare maggior valore a ciò che possiedono già, rispetto a ciò che non possiedono.
Partendo dalla medesima situazione iniziale, questo effetto è descritto come una forma di “contabilità mentale” in cui ogni decisione si basa sul rapporto tra il peso della PERDITA e quello del GUADAGNO.
In altre parole, se non si possiede un determinato oggetto, il valore incrementale che si ottiene con la sua acquisizione NON ha lo stesso valore che deriva dalla PERDITA di esso (se lo si possedeva già).
Questo appena descritto è il meccanismo teorico conosciuto come “avversione alla perdita”.
L’effetto dotazione è inoltre considerato come una forma di Framing Effect (effetto cornice) secondo il quale, a delle opzioni oggettivamente equivalenti, si reagisce in modo diverso in relazione al fatto che ci si concentri maggiormente sulle caratteristiche positive o su quelle negative.
Per esempio, è stato dimostrato che la carne macinata etichettata “magra all’80%” viene preferita alla carne macinata etichettata “grassa al 20%” (Levin e Gaeth 1988; Levin et al. 1998).
Nel nostro caso:
Gli ingredienti della pizza acquisiscono più valore quando sono già compresi, oppure quando devono essere aggiunti?
A questo punto è importante fare una distinzione tra:
- Il processo di esclusione, che equivale a cominciare una scatola piena dalla quale si vanno a togliere degli oggetti
- Il processo di inclusione, che equivale a cominciare una scatola vuota e alla quale si vanno ad aggiungere oggetti
Park C. Whan et al. (2000) hanno creato ciò che loro chiamano opzioni di framing “sottrattive” e “additive” applicate alle scelte durevoli del consumatore.
Durante lo studio, è stato chiesto a metà dei soggetti presi in esame, di sottrarre ad un prodotto completo le opzioni non desiderate.
All’altra metà è stato invece chiesto di aggiungere al modello “base”, le opzioni desiderate.
In entrambi gli esperimenti il prodotto in questione era un’automobile.
Il risultato?
Park C. Whan et al. scoprono che i loro soggetti tendono a scegliere più opzioni quando ricorrono al processo sottrattivo, anziché additivo.
Questo significa che l’eliminazione di un elemento ha un peso maggiore rispetto all’acquisizione dello stesso.
Questo esperimento, svolto su prodotti costosi e meno venduti, avrà la stessa valenza su prodotti di tutti i giorni?
Andiamo per gradi.
Park C. Whan et al. hanno utilizzato prodotti costosi e durevoli, dove il numero di opzioni selezionate può effettivamente avere implicazioni nella performance e nella durata a lungo termine del prodotto.
Per i prodotti non durevoli e meno costosi, da utilizzare immediatamente, i benefici a lungo termine non dovrebbero risultare rilevanti.
Fare questa distinzione è importante perché le ricerche hanno dimostrato che il giudizio e la capacità decisionale di una persona variano in base al livello del rischio, ovvero al numero di possibilità di perdita e guadagno.
La decisione di aggiungere o togliere componenti potrebbe quindi essere influenzata dal fatto che il prodotto costi come un’automobile o come una pizza.
La decisione di aggiungere o togliere elementi è parte integrante del giudizio generale del consumatore.
Mentre aggiungere optional come i filtri dell’aria ad un’automobile rappresenta una piccola parte del costo totale del prodotto, gli ingredienti aggiunti alla pizza, come funghi o prosciutto, rappresentano una più grande porzione del costo totale del prodotto.
Nel nostro caso, dove il costo degli ingredienti rappresenta una proporzione maggiore del costo totale, la richiesta di scartare degli ingredienti (scale down condition) potrebbe portare ad una maggiore concentrazione sul costo degli ingredienti, rispetto alla richiesta di scegliere ingredienti da aggiungere (build up condition).
Aggiungiamo ora la componente interculturale.
Come?
Ora ti illustro uno studio effettuato in collaborazione con l’Università dell’Iowa, negli Stati Uniti, e con l’Università di Roma, in Italia.
Come sottolineato in una recente analisi sulla ricerca interculturale nel campo del giudizio e del processo decisionale (Weber e Hsee 2000), sono state effettuate poche ricerche comparate tra percezione del rischio e propensione al rischio nelle culture orientali ed occidentali.
Tuttavia questi autori richiamano l’attenzione sulle possibili differenze culturali che potrebbero avere un peso sul processo decisionale.
Esperimento n. 1
Hanno partecipato allo studio 115 studenti di economia dell’università dell’Iowa.
Sono stati assegnati casualmente al gruppo della Build Up Condition (N = 56) e a quello della Scale Down Condition (N = 59).
Il compito di ognuno dei soggetti era creare la propria pizza scegliendo da una lista di 12 ingredienti.
Nella Build Up Condition è stata data in dotazione agli studenti una pizza “base” senza alcun ingrediente extra, al costo di $5,00.
Gli è poi stato chiesto di scegliere alcuni ingredienti in più come funghi, peperoni, ananas, salame e salsiccia al costo di 50 centesimi ognuno.
Nella Scale Down Condition, ai soggetti, è stata descritta una pizza “deluxe” con tutti e 12 gli ingredienti ad un costo di $11,00.
Gli è poi stato detto che il prezzo si sarebbe ridotto di 50 centesimi per ogni ingrediente eliminato.
Ai soggetti nella Build Up Condition e a quelli nella Scale Down Condition è stato detto, rispettivamente, di spuntare gli elementi che volevano includere e quelli che volevano escludere dalla lista degli ingredienti.
I prezzi sono stati impostati in modo tale che le spese fossero le stesse per entrambi i gruppi.
Esperimento n. 2*
I soggetti per l’Esperimento 2 erano 100 studenti di psicologia dell’Università di Roma “La Sapienza”.
I partecipanti sono stati assegnati casualmente ai due gruppi e sono state date loro le stesse indicazioni dell’Esperimento 1.
Ci sono però delle differenze.
I ristoranti che servono pizza in Italia sono diversi da quelli negli Stati Uniti.
Le pizzerie americane di solito offrono svariate combinazioni di ingredienti, come descritto nell’Esperimento 1.
In Italia invece, la scelta è più ridotta.
Si è deciso allora di chiedere agli italiani di immaginare che una nuova pizzeria (stile americano) abbia aperto in città, con un’offerta maggiore di ingredienti rispetto ad una normale pizzeria italiana.
Il numero di ingredienti massimo era 12, lo stesso dell’Esperimento 1.
Sono anche stati fatti dei cambiamenti per venire incontro ai gusti degli italiani: salame americano ed ananas sono stati sostituiti con salame piccante e alcune verdure (la pizza con l’ananas in effetti dovrebbe essere messa al bando come crimine contro l’umanità. Ma questa è un’altra storia).
I prezzi (in Lire: ITL) sono stati stabiliti in base alla media della città, più o meno la metà dei prezzi americani: una pizza normale costa 5.000 ITL (più o meno $2,50 US) e la pizza “deluxe” costa 11.000 ITL, con ciascun ingrediente a 500 ITL.
L’Esperimento 2 includeva delle condizioni ulteriori.
Mentre ad alcuni degli studenti italiani era richiesto di creare la propria pizza, ad altri soggetti italiani è stato chiesto di creare la loro insalata usando gli stessi ingredienti della pizza.
E’ stata inclusa anche questa categoria perché i consumatori italiani sono abituati ad avere più scelta di ingredienti per l’insalata rispetto alla pizza.
I prezzi degli ingredienti per l’insalata sono stati strutturati nello stesso modo di quelli per la pizza.
*Esperimento del 2001 – Cifre espresse in Lire Italiane
RISULTATI
Esperimento 1 // Campione Americano
Il numero medio di ingredienti scelti dal gruppo della Scale Down Condition era significativamente maggiore rispetto al numero medio di ingredienti scelto dal gruppo della Build Up Condition.
In termini di prezzo, i soggetti della Scale Down Condition a cui è stata presentata inizialmente una pizza deluxe, erano in media più propensi a spendere $1,29 in più per la loro pizza rispetto ai soggetti della Build Up Condition a cui è stata presentata una pizza base.
Esperimento 2 // Campione Italiano
I soggetti nella Scale Down Condition hanno scelto molti più ingredienti rispetto a quelli nella Build Up Condition.
Questa tendenza è stata riscontrata sia con la pizza che con l’insalata.
Né i diversi cibi, né le interazioni tra il compito assegnato e il tipo di cibo assegnato sono stati statisticamente significativi.
Parlando di prezzi, i soggetti italiani, in media, erano più propensi a spendere 2.140 ITL (circa $1,07) in più con una pizza completa come prodotto di partenza, rispetto ad una pizza base come prodotto di partenza, che corrisponde ad una differenza tra una media di 7,44 ingredienti (per la Scale Down Condition) e una media di 3,16 ingredienti (per la Build Up Condition).
Per quanto riguarda l’insalata, la differenza di prezzo era di 2.004 ITL (circa $1,02), che corrisponde ad una differenza tra una media di 8,12 ingredienti (per la Scale Down Condition) e una media di 4,04 ingredienti (per la Build Up Condition).
In entrambi i Paesi, il numero medio di ingredienti scelti nella Scale Down Condition (5,93) è significativamente maggiore rispetto al numero medio di ingredienti scelti nella Build Up Condition.
Conclusione
In ciascun esperimento i consumatori modello hanno optato per un prodotto con più ingredienti ad un prezzo maggiore.
I clienti preferiscono iniziare con un numero maggiore di ingredienti per poi avere la possibilità di PERDERNE solo alcuni.
Esattamente in maniera opposta rispetto a quando il consumatore inizia con un numero ridotto di ingredienti e gli viene data l’opportunità di aggiungerne altri.
Risultati simili erano stati raggiunti anche da Park C. Whan et al.(2000), usando prodotti durevoli costosi come automobili.
Il presente studio ha esteso il fenomeno anche:
- per i prodotti non durevoli, cioè per i beni meno costosi che si focalizzano su un’esperienza di consumo più edonistica che utilitaristica
- per altri consumatori (oltre a quelli americani)
I risultati ottenuti sono più rilevanti rispetto alle originali dimostrazioni dell’effetto dotazione (Kahneman et al. 1990).
Infatti, negli studi precedenti, i soggetti venivano “dotati” di un beneficio senza incorrere in alcun costo.
Nel presente studio e in quello di Park C. Whan et al. (2000), più benefici si ottenevano, più il costo aumentava, come in un normale esperienza di acquisto.
Quindi le implicazioni nel marketing sono chiare.
Il consumatore che inizia a “costruire” il suo prodotto partendo da un numero maggiore di componenti e caratteristiche, avendo poi la possibilità di eliminarne qualcuno, è spinto ad ACCETTARE il prodotto con un prezzo più alto.
Questo discorso vale sia per prodotti più comuni e poco costosi (come una pizza), che per prodotti più costosi come un’automobile.
In contrapposizione con l’originale (e più datato) effetto dotazione (Kahneman et al. 1990, che sostiene che siamo meno portati a perdere qualcosa che abbiamo già, rispetto ad acquisire quella stessa cosa nel momento in cui non la possediamo ancora).
IL PRESENTE STUDIO invece, dimostra che non dobbiamo per forza possedere quella cosa; Anche solo la prospettiva di possederla, gli dà un valore aggiunto.
L’effetto dotazione da definizione, consiste nella tendenza delle persone ad assegnare maggior valore a ciò che ha già, rispetto a ciò che non possiede.
Questo fenomeno rientra nella categoria degli “errori cognitivi” molto comuni, ampiamente dimostrato da numerosi esperimenti.
In definitiva, quando qualcosa è già nostro tendiamo a valutarlo di più rispetto a quanto faremmo se dovessimo acquistarlo.
Questo errore cognitivo deriva dal nostro innato bias cognitivo di avversione alla perdita.
Ma cosa sono i bias cognitivi?
Un bias cognitivo è definito come “un giudizio o pregiudizio, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppato sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque ad un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio”.
Questa definizione porta a cogliere due aspetti fondamentali di un bias:
- Il bias nasce come conseguenza dell’applicazione di un’euristica
- Il bias è collegato al concetto di “errore”
Negli ultimi decenni, si è dimostrato come il sistema cognitivo umano si sia adattato alle richieste dell’ambiente esterno, sviluppando poi diverse strategie di ragionamento e decisione.
In Thinking Fast and Slow (2011), Kahneman fornisce la teorizzazione di due sistemi (Sistema 1 e Sistema 2) indicati come i principali attori per la gestione del pensiero di tipo razionale e del pensiero di tipo intuitivo.
Perché ti dico questo?
Perché in alcune circostanze, nonostante il pensiero intuitivo offra numerosi vantaggi quali la velocità, il parallelismo, l’assenza di sforzo ecc., e ci permetta di decidere in modo efficace, esistono condizioni in cui la sua attuazione e più in generale l’applicazione di “scorciatoie mentali” ci porta a conclusioni errate su tutto ciò che ci circonda.
Torniamo quindi al bias di avversione alle perdite: doverci separare da qualcosa che possediamo è doloroso.
Per questo motivo richiediamo una ricompensa superiore al valore stesso del prodotto.
E’ in questo valore che gli attribuiamo che includiamo anche valori, credenze, ricordi e attaccamento.
Tornando al caso studio specifico sulla “storia della pizza”, possiamo trarre finalmente le conclusioni.
Se ti stai rivolgendo ad un cliente abituale e magari anche fidelizzato, la soluzione migliore sembrerebbe essere quella di proporgli il prodotto “top di gamma”, dandogli poi la possibilità di sottrarre qualcosa a suo piacimento.
Il cliente che ritorna da te ha acquisito fiducia nei tuoi confronti e nel prodotto che gli offri.
In sostanza ha ormai superato la prima soglia di diffidenza e si lascia convincere senza indugio da ciò che gli proponi.
Al contrario, se sei in fase di acquisizione di un nuovo cliente sarà certamente conveniente partire dal “modello base” invitandolo ad aggiungere ingredienti.
In questo caso, il cliente deve ancora scoprire tutte le tue potenzialità (in termini di qualità del prodotto e servizio).
La soluzione è quella di portare il cliente a conoscerti (e sceglierti nuovamente) in maniera graduale, lasciandolo “libero” di scegliere qualcosa che conosce già.
Successivamente sarà il cliente (che diventerà) fidelizzato a scegliere “inconsciamente” la pizza più buona ma anche quella più costosa (ed eventualmente da quella sottrarre qualche ingrediente).
In questo modo il tuo cliente potrà soddisfare il suo bisogno e tu automaticamente ne trarrai il massimo profitto. Questa è l’unica strategia win-win che funziona davvero.
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Riferimenti
A Tale of Two Pizzas: Building Up from a Basic Product Versus Scaling Down from a Fully-Loaded Product*
IRWIN P. LEVIN
irwin-levin@uiowa.edu
Department of Psychology and Department of Marketing, The University of Iowa, 11 Seashore Hall East, IowaCity, IA 52242-1407
JUDY SCHREIBER
The University of Iowa, Iowa City, IA 52242-1407
MARCO LAURIOLA
The University of Rome “La Sapienza,” Italy
GARY J. GAETH
The University of Iowa, Iowa City, IA 52242-1407
∗Parts of this paper were presented at the Eighth Cross-Cultural Research Conference, Turtle Bay, Kahuku, Oahu, Hawaii, December 2001. The research reported here was supported in part by National Science Foundation Grant No. SES 001316 awarded to the first author.
- Kahneman, Daniel, Jack L. Knetsch, and Richard H. Thaler. (1990). “Experimental Tests of the Endowment Effect and the Coase Theorem,” Journal of Political Economy, 98, 1325–1348.
- Levin, Irwin P. and Gary J. Gaeth. (1988). “How Consumers are Affected by the Framing of Attribute Information before and after Consuming the Product,” Journal of Consumer Research, 15, 374–378.
- Levin, Irwin P., Sandra L. Schneider, and Gary J. Gaeth. (1998). “All Frames Are not Created Equal: A Typology and Critical Analysis of Framing Effects,” Organizational Behavior and Human Decision Processes, 76, 149– 188.
- Park, C. Whan, Youl Jun Sung, and Deborah J. Macinnis. (2000). “Choosing what I Want versus Rejecting what I do not Want: An Application of Decision Framing to Product Option Choice Decisions,” Journal of Marketing Research, 37, 187–202.