La dura (?) legge della percezione

Puoi vendere il miglior prodotto del mondo, ma senza marketing fatto bene fallirai!

È settembre.

Potresti aspettarti che io oggi ti parli di vino, vigna e vendemmia. Di sentori primari, di retrogusto, di serate inebrianti davanti ad un calice.

Purtroppo no, il vino (da bere) non sarà l’argomento centrale del post di oggi.

Percepisco la tua delusione, quindi fermati un attimo. Riprenditi.

Respira.

Da bravo essere umano quale sei, immagino lo stessi già facendo e grazie a me ora ne sei cosciente. 

Se invece ti avessi chiesto di smettere di respirare, lo avresti fatto? Certo che no. Non avrebbe avuto senso da parte tua (né sarebbe stato etico da parte mia, ma quella è un’altra storia).

Ora ti spiego il perché di questa mia strana affermazione.

Ripensa a quella giornata quando c’era sciopero generale, la macchina aveva deciso di non funzionare, pioveva, tu non avevi l’ombrello, il telefono era morto, le chiavi di casa sparite e tu eri bloccato fuori. Per non farti mancare nulla il tuo cane uscì dal cancello e morse il postino, che chiamò i Carabinieri che ti fecero un verbale lungo mezzo metro.

Esasperante, vero?

Poi per qualche strana congiunzione astrale sei riuscito ad arrivare dove dovevi arrivare, stremato già di prima mattina.

E lì c’era lui. Quel tizio che proprio non sopporti in situazioni normali, figuriamoci quel giorno.

E cosa fa? Una cosa tremenda che non avrebbe mai dovuto permettersi di fare: RESPIRARE!

In modo rumoroso per giunta. Assurdo, vero? Ecco che il discorso di chiedere a qualcuno di smettere di respirare comincia ad avere un senso.

Eppure tu respiri, gli altri respirano, ma solo un respiro in particolare minaccia di estorcere l’ultimo briciolo di quieto vivere che ti è rimasto in corpo.

Sir Terry Pratchett, un simpatico autore britannico, vent’anni fa scriveva:

“La logica è una cosa meravigliosa, ma non è niente a confronto del pensiero nudo e crudo”.

E il tuo pensiero nudo e crudo, la tua percezione, ti dicono che quasi quasi fare una scenata perché quella persona sta respirando è la migliore idea che tu abbia mai avuto.

Che tu ci creda o no, tutto questo ha anche a che fare in maniera inscindibile con il marketing.

Ripercorriamo la scena di poco fa. 

Dimmi. In quel momento, dopo la mattinata infernale e alla presenza di quella persona che tanto ti irrita, avrebbe prevalso la logica, che ti dice quanto sia poco etico arrabbiarsi perché qualcuno sta respirando o avrebbe prevalso la tua percezione?

Magari non avresti fatto una scenata, ma non saresti nemmeno rimasto impassibile.

Ora facciamo un passo avanti. Chiamiamo la respirazione “prodotto” e le persone “aziende”.

Perché alcuni prodotti ti sono indifferenti, ma il prodotto di quella particolare azienda (lo stesso prodotto, cambia solo la marca) ti manda ai pazzi?

Perché bere una rinfrescante birra ghiacciata da un boccale di vetro dà più soddisfazione che berla da un bicchiere di plastica?

Perché è diverso. O meglio, lo percepisci in modo diverso.

Perché quella persona non la sopporti e di conseguenza non si deve permettere di respirare rumorosamente quando hai i nervi a fior di pelle.

Il gioco è semplice. La percezione che tu hai di una determinata azienda influenza la percezione che hai del prodotto di quella determinata azienda.

Nel corso degli anni la percezione è stata oggetto di tantissimi esperimenti.

Comincio col presentartene uno intitolato “Try It, You’ll Like It: The Influence of Expectation, Consumption, and Revelation on Preferences for Beer” del 2006.

Ah, prometto che se arriverai in fondo parleremo anche del tuo amato vino ;-).

In questo primo esperimento è stato chiesto ai proprietari ed ai clienti di un pub di assaggiare due birre, una normale e una chiamata “MIT brew” (birra a cui sono state aggiunte alcune gocce di aceto balsamico).

I partecipanti, circa 400, sono stati prima divisi in tre gruppi:

  1. 1.GRUPPO 1: gli “ignari”, a cui non è mai stato rivelato l’ingrediente segreto.
  1. 2.GRUPPO 2: i “pre-assaggio”, che hanno saputo dell’ingrediente segreto prima dell’assaggio.
  1. 3.GRUPPO 3: i “post-assaggio”, che hanno saputo dell’ingrediente segreto solo dopo l’assaggio, ma prima della votazione.

È stato poi chiesto loro di votare la birra che preferivano. 

Il primo gruppo è stato quello che più ha amato “la birra corretta”.

Notiamo poi che anche il tempismo nella rivelazione dell’ingrediente segreto ha avuto il suo peso sulla percezione del prodotto.

Il numero delle preferenze per la MIT brew è diminuito solo nel GRUPPO 2, dove i volontari sapevano dell’ingrediente segreto ancor prima dell’assaggio.

Eppure stiamo parlando della stessa birra e della stessa quantità di aceto balsamico, com’è possibile?

La percezione dell’esperienza stessa era stata influenzata a priori (segnati questo concetto, caso di studio con il nostro cliente che ti sto per raccontare te lo dimostrerà senza appello).

Ora, visto che la teoria è importante, ma è la pratica quella che conta davvero, ho deciso di dimostrarti che quello che sto dicendo non è aria fritta.

E qui entra in gioco il secondo esempio.

Aprile 2020.

La chiusura del mondo fa da deterrente a qualsiasi scintilla di produttività. A che scopo impegnarsi quando tutto è fermo? In fin dei conti siamo tutti nella stessa barca. 

Questo pensiero risuonava nella testa di molti. 

“Di molti”, non il nostro.

Proprio in quel periodo infatti abbiamo deciso di regalare delle consulenze e con queste consulenze abbiamo conosciuto Mauro e Andrea Salini, zio e nipote.

Il primo titolare di un ristorante in Valchiavenna, il secondo creativo che fa i filmini (Lo so. Cosimo non me lo perdonerà ma io non posso mentire: HA ANCHE CONOSCENTI CREATIVI purtroppo. Qualcuno doveva pur dirtelo).

Per molto tempo Andrea e Mauro avevano pensato ad una possibile collaborazione, che grazie all’avvento della pandemia hanno potuto spolverare e prendere in seria considerazione.

Hanno cominciato allora a dare forma ad un’idea, ed il corpo era pronto. Mancava qualcosa che gli desse vita.

Qui entra in gioco Cosimo.

Mauro e Andrea presentano l’idea su cui stavano ragionando, insieme alle prime ipotesi di nome e posizionamento. Volevano vendere vino online! Ma non un vino qualsiasi. UN VINO LORO.

Ma come fare per mettere in circolazione un vino in Italia, nel 2020, con il mercato ipersaturo a tutti i livelli? 

Per farla breve, alla fine della consulenza avevamo definito il posizionamento, e la strategia di lancio. Come ha poi dichiarato Andrea: “Due cosine!”.

Per la strategia ci siamo rifatti al Cavallo di Troia.

Come per l’esperimento precedente, abbiamo proposto ad alcuni ignari appassionati di scegliere tra due vini e dirci la loro.

Fase uno: abbiamo inviato 50 coppie di bottiglie in regalo ad altrettanti volontari.

Queste qui sotto sono le etichette dei due differenti vini:

“Chiurello”

Vino Valtellinese semplice e giovane. Il pricing è stato fissato a 10 euro.

“Sfures”

Valtellinese, Nebbiolo invecchiato, elaborato e prestigioso. In questo caso il pricing è stato fissato a 35 euro.

Fase due: abbiamo chiesto ad ogni partecipante di compilare un questionario e di esprimere la propria preferenza tra i due vini.

Vediamo cosa hanno detto alcune delle persone alle quali abbiamo inviato i due vini:

Luca Geronimi

Chiurello: Vino non particolarmente strutturato, ottimo per accompagnare carni e formaggi senza essere particolarmente impegnativo.

Sfurès: Un vino strutturato e deciso, indicato per chi ne apprezza anche la complessità e i profumi, ottimo per pietanze come selvaggina e carne.

Roberto Grillone

Chiurello: Un buon vino da pasto con sensazione all’olfatto di gradazione alcolica alta ma al gusto prevale il buon profumo di vino.

Sfurès: Gusto incantevole delicato dolce che contraddistingue la struttura robusta del vino

Gaia Bellunato

Chiurello: Sembra ancora un po’ troppo giovane e acidulo. Ma si sente che è un vino forte.

Sfurès: È un vino molto buono. È corposo ma non pesante e il gusto è morbido.

Nunzio D’Aria

Chiurello: Ad un primo sorso leggermente aspro si rivela dolce durante un’attenta degustazione. Lascia un retrogusto piacevole e dolce, fruttato. Provato con più pietanze e secondo me abbinabile con formaggi (caprino , provola affumicata e parmigiano 24 mesi) e una nota particolare nell’accompagnare il salmone affumicato.

Sfurès: Rosso intenso decisamente il preferito tra i due. Un vino da abbinare a pietanze a base di carne e da bere in ambienti preferibilmente freschi (es in estate da degustare in montagna o da preferire per le cene) . Un vino strutturato da non sostituire con vini più giovani durante I pasti. Retrogusto corposo e in ottimo abbinamento anche con antipasti di terra. Mi è particolarmente piaciuto abbinato a melanzane sott’olio (rigorosamente artigianali) e pomodori in insalata tagliati in piccoli pezzi conditi con olio extravergine di oliva sale e origano. L’alternanza di questi sapori permettono un uso anche a pranzo in periodi particolarmente caldi.

Lo SFURÈS ha vinto a mani basse il test in doppio cieco. Nell’88% dei casi, i tester hanno dichiarato che era MIGLIORE del Chiurello.

Questo in effetti ce lo aspettavamo un po’.

È chiaro che un vino da 35€, invecchiato e proveniente da vitigni pregiati non poteva esser paragonato ad un vinello da tavola.

Ah, ho dimenticato di darti un’altra informazione, forse secondaria, ma che probabilmente ti aiuterà a comprendere che se hai qualcosa da vendere, la PERCEZIONE la fa da padrona.

L’informazione aggiuntiva è la seguente:

Le due bottiglie contenevano lo stesso vino. Te lo scrivo meglio, così evitiamo equivoci:

L O  S T E S S O  V I N O.

Forse per colpa dell’ebbrezza o dell’entusiasmo di aver appena ricevuto un regalo, abbiamo pensato.

Perché il vino contenuto nelle due bottiglie era davvero lo stesso, identico vino.

TUTTI i partecipanti se l’erano bevuta.

Da tutto questo è nato poi SPÀSS – L’AUTENTICO APERITIVO MONTANARO.

 Un vino rosso posizionato in modo completamente opposto rispetto a tutti gli altri vini di montagna elaborati, raffinati, complessi e blasonati venduti a caro prezzo quasi sempre più grazie alla narrativa che non al reale valore estrinseco del vino.

Perché che sia l’inizio o la fine di una serata, per quanto intellettuale tu voglia atteggiarti, per quanto il tuo naso faccia concorrenza ai cani segugio, una volta stappato, il vino te lo bevi comunque.

Cosa ci insegna, ancora una volta, questo nostro caso di studio?

Nel loro libro The 22 Immutable Laws of Marketing: Violate Them at Your Own Risk, Al Ries e Jack Trout ci spiegano chiaramente perché entrambi gli esperimenti si siano conclusi nello stesso modo.

“Non c’è nessuna realtà oggettiva. Non ci sono fatti. Non c’è un prodotto migliore dell’altro. Tutto ciò di vero nel mondo del marketing è la percezione dei clienti e dei prospect. La percezione è realtà. Tutto il resto è illusione”.

La percezione che il secondo fosse un vino migliore (perché descritto in maniera più magniloquente e con un prezzo 3,5 volte superiore all’altro) ha plasmato la mente dei poveri volontari facendogli credere che fosse davvero così. Dopotutto chi sono io per contraddire quello che ha messo i prezzi e scritto l’etichetta?

Arrivati fin qui abbiamo capito che è la percezione che conta. Come fare quindi ad averla dalla nostra parte?

Facendo un passo in più nel processo di evoluzione, passando da Homo Sapiens a Homo Narrans.

Perché se ci pensiamo bene tutto si può raccontare, tutto è storia. E come abbiamo ben capito la logica poco influenza la percezione del prospect.

Secondo i fatti e la logica, il tuo prodotto può essere il migliore o il peggiore della sua categoria, ma è la percezione, è la storia che racconti che decreterà davvero il suo posizionamento nella mente del potenziale cliente.

Sta a te scegliere come utilizzare queste potentissime leve mentali che ti ho illustrato. Parti dal presupposto che questa cosa che ti ho rivelato dovrebbe essere utilizzata NON per fregare ignari consumatori, in stile Wanna Marchi, ma per aumentare i pregi del tuo sicuramente già ECCELLENTE PRODOTTO. 

Se deciderai di vendere merda spacciandola per cioccolato, non mi riterrò ovviamente responsabile delle tue azioni.

Anche perché, se freghi le persone, stai pur certo che prima o poi finisci male.

Se vuoi approfondire questi temi e comprendere come hanno fatto 10 persone (PERSONE, si!) a diventare icone riconosciute a livello globale, utilizzando differenti modelli di business, allora ti consiglio di prendere subito il libro scritto da Cosimo Capitani Coraggiosi, uscito da poco.

400 pagine fitte di storie, emozioni, delusioni e ripartenza di 10 magnifici Imprenditori italiani da cui trarre importanti lezioni per migliorare il tuo business.

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Ora ripeti a voce alta: il Marketing NON è una battaglia di PRODOTTI, è una battaglia di PERCEZIONI.

Posiziona il sentimento, poi il prodotto.

Perché siamo Venditori. Non siamo artisti.

Erica De Luca