Le scottanti rivelazioni di un pentito che mette alla gogna i pubblicitari creativi che si fanno pompini tra loro (cit. Mr Wolf in Pulp Fiction)

Se comprendi questa frase comprendi la pubblicità.

Come è fatta e come dovrebbe esser fatta.

Da chi è fatta e perché è fatta da questi e non da altri.

Conosci Pulp Fiction? Mi auguro per te di si. Al video qui sopra c’è uno spezzone di 25” che metaforicamente ma in maniera assolutamente coesa con la realtà è ciò che fanno i creativi tra loro. Parte tutto dall’assunto che SI FANNO I POMPINI TRA LORO (sorry, è una citazione).

Chi sono io?

Se dovessi utilizzare la parole di un paio di creativi, feriti dalla loro stessa inconsistenza, allora, citandoli, potrei usare queste definizioni:

  1. Vorrei ma non posso
  2. Poveretto…molto
  3. E’ infine sceso fra noi il Messia dell Pubblicità!
  4. Un mitomane anche un pò sfigato
  5. Dilettante
  6. Penoso dilettante
  7. Privo di un tuo pensiero originale
  8. Gente senza passato e priva di futuro

Questi sono tutti epiteti che mi sono stati rivolti, ma quello che devi sapere è che non solo non ne sono offeso, ma posso senza ombra di dubbio ritenermi lusingato di queste affermazioni.

Quello che farò è dimostrarti che se si sono spinti a questo livello il motivo è solo uno. Hanno accusato pesantemente il colpo, quando si sono trovati di fronte ad una domanda alla quale non avevano risposta, se non gridolini isterici che nulla dovrebbero avere a che fare con il loro autodefinirsi professionisti (magari lo saranno pure, non so chi siano, ma certamente non lo hanno dimostrato durante la conversazione che ho amabilmente intrattenuto con loro).

PER QUALE MOTIVO I PUBBLICITARI CREATIVI SI INALBERANO SE PROVI A PORRE LORO DOMANDE CHE NON SIANO RELATIVE A LIKE, SHARE, WOW, PREMI, ED ALTRE AMENITÀ CHE POSSIAMO SENZ’ALTRO DEFINIRE VANITY METRICS?

Il motivo è lapalissiano.

Mettersi davanti ad uno schermo con un executive, fargli spostare gli oggetti del layout, fargli cambiare i colori, fargli aggiustare il font, et similia, non ha nulla a che fare con la Pubblicità. Si tratta di semplici dettagli tecnici, che potrebbero essere tranquillamente affidate ad un qualsiasi Junior.

Scrivere sul proprio biglietto da visita CREATIVE QUALCOSA non significa essere automaticamente un professionista della pubblicità.

Dichiarare di aver lavorato gomito a gomito con alcuni geni del passato e non riuscire a cogliere il motivo reale per il quale costoro erano superiori agli altri nel proprio lavoro, è una mancanza inaccettabile (“…sono stato formato in Ogilvy NY, ho lavorato con Livraghi, Lando’ e molti altri protagonisti di questo mestiere…”).

Dare per scontato che “…se un’impresa – non certo di primo pelo – decide di mettere dei soldi in un’operazione fuori dal comune, puoi star certo che un buon motivo c’è…” significa non avere la minima cognizione su quali e quanti “fiaschi” abbia generato la pubblicità nel corso degli anni.

La pubblicità è anch’essa uno strumento. Uno strumento nelle mani del marketing che deve avere dei presupposti sempre e comunque basati sulla profittabilità e misurabilità delle azioni da compiere.

I FATTI

Ma come sei bravooo…Grazie, ma tu sei ancora più bravo! E tu sei davvero un genio, il tuo lavoro è MERAVIGLIOSO! (Torna a leggere la citazione di Mr. Wolf in Pulp Fiction)

Ecco quindi la trascrizione di quanto ho letto, e che mi ha fatto partire l’embolo:

 

Ieri sera, Piazza degli Affari, Milano.

Proiezione pubblica e gratuita dei primi due episodi della terza stagione della serie spagnola “La casa di carta” (La casa de papel), forse la serie di maggior successo pop degli ultimi anni, da oggi disponibile su Netflix.

Gran folla, mi dicono, davanti all’installazione con Macro Maschera di Salvador Dalì in tuta rossa, che ingloba il dito medio di Maurizio Cattelan, ormai simbolo di Milano all’estero più della Madonnina o di San Siro.

Io non ero in città, quindi mi spiace averla persa. Ma val la pena di fare i complimenti ai ragazzi di Publicis Italia. Oggi saranno su tutti i giornali, su tutti i social, in tutte le rassegne stampa internazionali, sotto i tag cronaca, arte, media, comunicazione, eventi.

Poi qualcuno si domanda perché sono l’unica agenzia che viene riconosciuta con regolarità in tutti i premi al mondo. Forse perché sanno farsi riconoscere, secondo la nota teoria “if you are in the news, you get the views”.

Nota a margine:

Non solo si fa Media Earned con un evento pop e partecipato.

Ma si usa con intelligenza l’opera di Cattelan, moltiplicando l’effetto grazie alla fama di un pezzo d’arte.

Così, per rispondere a chi continua a dire che la comunicazione di marca e l’arte sono mondi che non possono dialogare.

A queste frasi si accompagnava la seguente immagine

Ora mi voglio mettere nei tuoi panni. Forse ti sta ronzando in testa una domanda…”Cosimo, scusa, ma ancora una volta vuoi ribadire il concetto secondo il quale i creativi siano il male della pubblicità? Non ti pare di averlo diffuso già in maniera fin troppo estensiva questo concetto?”

Si, hai perfettamente ragione. Infatti, malgrado le apparenze iniziali, questo non è realmente un post CONTRO i creativi, nè contro questa installazione in sè.

Al contrario, si tratta di un articolo che mostra quanto possano esser potenti alcuni strumenti, fermo restando che purtroppo se ne fa molto spesso un uso assolutamente improprio.

A tale scopo trascriverò di seguito soltanto un paio di concetti citati, e poi passerò al vero nocciolo di questo articolo.

  • Se stai parlando di ROI, quel misuratore ormai ha fatto il suo tempo.

 

  • Quelli che narcisisticamente si affannano a dichiarare sui social che l’operazione è fallimentare, sono proprio i primi a decretarne il successo virale. Meraviglioso.

È evidente che non potrei esser meno d’accordo con questi due pensieri, ma non voglio usarli se non per dimostrarti che la Pubblicità ha bisogno di un certo tipo di competenze, che purtroppo ad oggi languono in maniera assai preoccupante.

Okay, come promesso, passiamo ora al nucleo centrale di questo articolo.

COSA AGGIUNGE QUESTA INSTALLAZIONE ALLA CASA DE PAPEL?

Questa è la domanda che ho ripetuto fino allo sfinimento durante quella chiacchierata su Facebook, ma non ho avuto alcun tipo di riscontro se non gli insulti che ho fedelmente riportato ad inizio del post.

Quindi eccomi qua. Sono qui per rispondere a questa domanda, un po’ alla Marzullo.

Mi sono fatto una domanda e ora mi dò anche la risposta.

La qualità delle domande per arrivare quanto più vicini alla verità è davvero fondamentale. La domanda deve essere sintetica e deve avere una caratteristica ulteriore: non deve esser soggetta ad interpretazioni. Questa ha entrambe le caratteristiche. Se la si elude è soltanto perché si teme di poter dare risposte a mentula canis.

Io non eludo, e ti spiego il mio punto di vista per il quale, effettivamente, l’operazione di Publicis è stata certamente efficace (anche se non so se più al cliente o all’agenzia, ma vabbè, se questa è la regola…).

Infatti, al di là delle provocazioni che ho scritto sotto al post di quel creativo, per cercare di capire se avesse o meno argomenti validi (e non li aveva), va riconosciuto che questa operazione, a prescindere dall’opera del dito medio di Cattelan, può essere inquadrata come positiva.

Ma porca miseria, se dici di aver lavorato con Ogilvy e Livraghi, vuoi dare o no un senso alle tue parole o ti basta trincerarti dietro termini tecnici, incomprensibili ai più, usati peraltro in maniera impropria e conditi di gridolini isterici qua e là?

La risposta alla mia domanda è di una semplicità quasi imbarazzante. Le basi proprio.

E le basi, come quasi in ogni caso, dove vanno ricercate? Ma nel pensiero di Al (e Laura) Ries, ovviamente.

  • I Brand si costruiscono con le PR (Al Ries)
  • Per connettere in maniera subconscia un brand al proprio target è necessario un Visual Hammer (Laura Ries). Un Martello Visuale.

Ovviamente non tutti sanno di cosa sto parlando. Per questo, per non rimanere ancorato a termini tecnici come fatto da altri, non mi resta che aggiungere qualche riga di spiegazione a questi due concetti rapportandoli alla questione Cattelan – Casa de Papel.

I BRAND SI COSTRUISCONO CON LE PR

Al Ries, padre del Brand Positioning afferma che i Brand si costruiscono con le PR e si mantengono con la pubblicità.

Va detto che per PR non si intende quello che come luogo comune viene utilizzato in tal senso in Italia. Fare PR non significa andare alle cene ed ai galà con persone influenti e potenzialmente utili al proprio business.

Le PR sono strettamente collegate all’ufficio stampa del Brand in questione.

Infatti fare PR sta a significare quello che, in maniera forzatamente tecnicistica e palesemente distaccata dai veri scopi di qualsivoglia azione di marketing che sia degna di questo nome, ha affermato il creativo che mi ha tutto sommato dato lo spunto per scrivere questo post.

Fare PR significa guadagnarsi l’attenzione dei media, ed essere pubblicati GRATUITAMENTE su di essi (earned media).

Scusa Cosimo, ma qui qualcosa non quadra! Stai dicendo la stessa cosa che ha dichiarato il tizio creativo. Mi puoi spiegare bene ‘sta cosa per favore?

Certo che te la spiego. È doveroso farlo, proprio per non ingenerare equivoci.

EARNED MEDIA o FARE PR ha un significato pressoché identico. Ma questi media a chi stanno rivolgendo la propria attenzione? La differenza è tutta qui.

Fai molta attenzione a questo passaggio:

“…val la pena di fare i complimenti ai ragazzi di Publicis Italia. Oggi saranno su tutti i giornali, su tutti i social, in tutte le rassegne stampa internazionali, sotto i tag cronaca, arte, media, comunicazione, eventi.

Poi qualcuno si domanda perché sono l’unica agenzia che viene riconosciuta con regolarità in tutti i premi al mondo. Forse perché sanno farsi riconoscere, secondo la nota teoria “if you are in the news, you get the views”

Capisci la differenza?

L’attenzione dei media, a quanto appare da questa dichiarazione, non è stata guadagnata da Netflix e dalla Casa de Papel, ma dall’agenzia che ha realizzato l’evento, con la relativa successiva divulgazione a proprio favore.

Trovi quindi errata la mia risposta a costui?

“Come hai correttamente detto, bravi i ragazzi di Publicis a guadagnarsi tutta questa visibilità grazie alla quale vinceranno qualche altro premio.

 

È davvero una figata fare il pubblicitario creativo. Ti pagano, e tu TI promuovi.

 

Sono davvero dei geni, vero.

 

Per quanto mi riguarda aggiungo due cose:

 

1) Un certo David Ogilvy, non il signor pizza e fichi ma David Ogilvy – di cui peraltro suggerisco di riguardare il video (si trova su Youtube) “We sell or else” – diceva che se entri in un’agenzia e trovi esposti premi, allora FUGGI SCIOCCO! Ti trovi in un posto dove conta di più l’ego (ed il portafogli) del pubblicitario che non l’interesse del cliente.

 

Poi alla Ogilvy dopo di lui sono diventati creativi. Ma questa è un’altra storia.

 

2) ribadisco con forza, ancor più dopo aver letto questo post, che SIAMO VENDITORI, NON SIAMO ARTISTI.”

E qui, ovviamente, sono iniziati gli improperi. Che come ti dicevo non solo non mi sfiorano ma me li appunto orgogliosamente sul bavero della giacca quasi fossero davvero premi da mostrare, molto meno effimeri di quelli che girano nei “salotti buoni della pubblicità”.

Ora spero che il concetto di FARE PR ti sia un po’ più chiaro. Riassumo comunque velocemente tutto in tre punti:

  • Le PR non sono quelle che si fanno conoscendo persone influenti e potenzialmente utili al proprio business.
  • Le PR sono i Media che parlano di te perché sei stato bravo ad interessarli con eventi e/o attività “notiziabili”
  • Le PR devono esser fatte a favore del Brand che paga l’agenzia di pubblicità, e ad esso debbono veicolarne i relativi benefici, non a favore dell’agenzia stessa.

Letture consigliate:

  1. Il posizionamento. La battaglia per le vostre menti
  2. Focus
  3. Le 22 Immutabili leggi del Marketing
  4. The Fall of Advertising and the Rise of Pr

Passiamo ora al secondo importante concetto per il quale non possiamo dire che questa operazione sia stata un fiasco.

Okay, quelli dell’agenzia si porteranno a casa un sacco di premi per questa cosa. Bravi. Contento per loro. Ma davvero la Casa de Papel non ha tratto alcun vantaggio da tutto ciò?

No. Non è così. Sono certo che tutto questo clamore non può non aver suscitato interesse in persone che non conoscevano la serie, o che non abbia fatto venir voglia ai fedelissimi delle prime due serie, di sedersi a guardare la terza.

Ma come hanno fatto?

Introduciamo il concetto di Laura Ries. Il Visual Hammer. Il Martello Visuale.

Se ti faccio vedere questi due ARCHI DORATI, a quale brand ti viene da pensare?

Se ti mostro la silhouette di una bottiglia come questa qua sotto, quale Brand ti viene in mente?

O magari un abito da donna con una particolare forma sulla schiena, ti riporta alla mente qualcosa? Un Brand magari?

La potenza delle immagini nella mente del target, affinchè con esso si stabilisca una connessione profonda, subconscia. Connessione che deve essere completata da quello che Laura Ries definisce Verbal Nail (chiodo verbale), da inserire in uno spazio ancora non occupato nella mente del cliente, attraverso il Martello Visuale.

Esempio: Coca Cola → The real Thing

E La Casa de papel che Visual Hammer ha?

Ovviamente le tute rosse e la maschera che raffigura Salvador Dalì. Non è ovviamente al livello degli archi dorati di Mc Donald’s, della bottiglia di Coca Cola o di quella di Vodka Absolut. Ma sfido chiunque abbia visto almeno 5 minuti della serie, a non riconoscere immediatamente questo potentissimo Martello Visuale.

Entra in testa. E spinge dentro il Chiodo Verbale. OPS! Il Verbal Nail non c’è. Farebbero bene a trovarne uno.

Così, per rispondere a chi continua a dire che la comunicazione di marca e l’arte sono mondi che non possono dialogare.

Questa frase qui sopra evidenziata in rosso, pronunciata dal creativo, è l’equivoco che egli ingenera nella sua mente e potenzialmente in quella di coloro che leggono il suo balzano punto di vista sulla pubblicità.

L’ARTE NON C’ENTRA ASSOLUTAMENTE NULLA!

Si tratta di tecniche che sono state canonizzate da Al e Laura Ries e che in maniera più o meno consapevole sono state utilizzate dall’agenzia che ha realizzato l’installazione e l’evento connesso.

Quando dico (e no, sappi che non mi stancherò mai di ripeterlo) che SIAMO VENDITORI, NON SIAMO ARTISTI, intendo anche questo. Intendo che ogni singola azione che abbia a che fare con il marketing deve essere supportata dalla CONOSCENZA.

Se vuoi approfondire ti consiglio di guardare questo video (in Inglese)

Letture consigliate:

  1. Visual Hammer: Nail your brand into the mind with the emotional power of a visual
  2. Battlecry: Winning the battle for the mind with a slogan that kills.

Voglio chiudere questo post con una profondissima riflessione di un altro creativo che ha preso parte alla conversazione.

Che poi… posso dire?…

per me la pubblicità è un mestiere, non una missione…

Dovessi dedicare la vita a qualcosa avrei una lista lunga lunga di cose che per me contano molto di più.

 

I miei affetti prima di tutto, e poi – mi si perdoni l’ardire – attività un po’ meno sputtanate della pubblicità: l’insegnamento, la formazione, la divulgazione, la comunicazione d’azienda.

 

Dovessi immolarmi o regalare il mio tempo lo farei per attività “filantropiche”. Una cosa che peraltro, nei limiti che le bollette mi concedono, faccio da tempo.

 

Non potrei essere più lontano dalla guerra santa, avendo una sola vita in gran parte già trascorsa.

 

“Mourons pour des idées

d’accord, mais de morts lente…”

Ti invito a pensare al tuo business. Ai soldi che faticosamente e tra mille problemi, legati allo “stato ladro”, al personale paraculo, ai concorrenti sleali, etc. riesci a portare a casa.

Affideresti il destino della tua azienda, del tuo business, e il tuo denaro ad una persona che dichiara apertamente che fa il lavoro che fa, ma senza considerarlo una missione e solo in funzione delle bollette da pagare?

No, non sono un eroe. Non è questo il messaggio che voglio far passare.

Quello che mi preme sottolineare è che molta parte della mia vita è stata messa a disposizione di questa missione. Ma non è nulla di eroico. È normale quando si accede ai soldi di un cliente essere pronti e preparati a qualsiasi cosa per farglieli tornare moltiplicati.

No, non sono un eroe.

Sono un tizio che fino a qualche anno fa la pensava a grandi linee come i creativi di cui sopra. Sono il Buscetta della pubblicità. Mi sono pentito. E sono al servizio del mio cliente, anche se questo mi costa molti soldi in formazione, molte notti insonni passate a studiare i Grandi Maestri del passato (ma anche del presente), molto tempo sottratto alla mia famiglia ed ai miei affetti più in generale.

No. Non sono un eroe. Sono una persona che fa quello che deve fare. Nulla più di questo.

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