Storiella semiseria che ti spiega perché stai bruciando soldi in pubblicità inutili
Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente voluto e non è frutto dell’immaginazione dell’autore.
C’era una volta un Piccolo Imprenditore…
Il Piccolo Imprenditore una mattina decise di uscire per andare a trovare qualcuno che realizzasse una pubblicità per i suoi prodotti.
Cominciò quindi a prepararsi: prese la sua amata mantellina rossa con cappuccio e riempì il cestino con tutte le sue cose più preziose, frutto del duro lavoro di anni.
Prima di uscire di casa controllò la strada su Google Maps e una volta soddisfatto salutò la sua mamma.
La mamma gli disse: “Fai attenzione là fuori, è pieno di Creativi che vogliono a tutti i costi il tuo cestino, non devi fidarti assolutamente!”.
Il Piccolo Imprenditore lo sapeva, la mamma glielo aveva ripetuto talmente tante volte che non ce la faceva più a sentirlo. Perciò rispose: “Sì, ho capito, lo so che devo fare attenzione, non sono nato ieri, stai tranquilla mamma…” – e uscì.
Camminò e camminò, e arrivò al bosco; ci si addentrò, ma raggiunto un bivio si rese conto che il telefono con la preziosa app di Google era rimasto a casa: il Piccolo Imprenditore non sapeva più dove andare.
Era disperato.
Fu proprio in quel momento che sentì una voce e si girò di scatto.
“Buonaseeera” – disse lo sconosciuto. “Mi sono perso! Devo realizzare la pubblicità per la mia azienda, ma non ho il telefono e non ricordo più la direzione!”.
In quello che sembrava uno slancio di generosità e altruismo, lo sconosciuto indicò al Piccolo Imprenditore la strada; gli disse quindi di andare a destra, omettendo però quello che avrebbe incontrato lungo il percorso.
“Così sicuramente si fiderà di me” – pensò tra sé e sé lo sconosciuto creativo.
Il Piccolo Imprenditore lo ringraziò e partì in tutta fretta.
Quello che lui non sapeva era che Google Maps indicava quel percorso come quello più panoramico, con campi di fiori colorati, unicorni ed arcobaleni; marmotte che incartano cioccolata e scoiattoli che con un peto sono in grado di congelare l’intero bosco. Mentre quello opposto era la via più veloce.
Il Creativo, furbamente, prese quindi la via di sinistra e arrivò con molto anticipo a destinazione, e si mise ad aspettare il povero Piccolo Imprenditore per sottrargli il cestino pieno del frutto del suo lavoro.
Ovviamente, come potrai ben immaginare, ad un certo punto da dietro un cespuglio uscì fuori un cacciatore creativo pentito, che sparò un colpo a sale nelle terga del creativo e salvò il piccolo imprenditore.
Sono sicuro che hai già sentito una storia simile a questa – con qualche cambio di paradigma e di attori – e sai anche come va a finire.
Il Lupo – Creativo viene sconfitto, Cappuccetto Rosso – Piccolo Imprenditore si salva e vive felice e contento.
No, non ho inventato io questa storia.
Lo so che Cappuccetto Rosso ce l’ha tramandata Perrault, ma non è la storia a cui mi riferisco. Parlo proprio di tutte quelle pubblicità che non sono di nessuna utilità al tuo business e che rappresentano un inutile spreco di soldi.
E’ da molti anni ormai che cerco di mettere in guardia gli imprenditori dalle pubblicità che hanno il solo scopo di attirare attenzione, ma che sono lontane dal loro reale ed originario scopo (vendere!).
Finalmente è giunto il momento che aspettavo da molto tempo.
Un esperimento, condotto un anno fa, ha dimostrato una volta per tutte quante pubblicità svolgano effettivamente il proprio lavoro in maniera corretta.
Il 29 gennaio 2021 Bradley Shapiro, Günter Hitsch e Anna Tuchman hanno pubblicato uno studio basato su una meticolosa analisi della pubblicità televisiva per 288 beni di consumo.
Non 2, non 8. Ben 288.
Cercherò di spiegarti nel modo più coinciso possibile come si è svolto il processo, anche perché la formula meno intricata che hanno usato per i loro calcoli è questa:
In fondo a questo articolo ti lascerò il link a questa ricerca condita con dovizia di particolari e formule matematiche.
Sappi comunque che l’estrema sintesi di tutto lo studio è qui, sotto i tuoi occhi, ipersemplificato e reso potabile a chiunque voglia fare i conti con la sorprendentemente numerosa masnada di creativi pronti a prendersi i soldi dei propri clienti, senza nessun interesse render loro giustizia con un lavoro che possa essere quantomeno misurato.
Quella dell’advertising è un’industria gigantesca negli Stati Uniti, con un valore totale di 256 miliardi di Dollari (2019) – 66 dei quali destinati alla vecchia televisione.
Così come faccio io da molto tempo, Shapiro & Friends si sono chiesti: “ma alla fine, quante pubblicità sono davvero concentrate a vendere il prodotto per cui sono state create?”
A grandissime linee, i nostri studiosi hanno lavorato così:
Hanno prima calcolato l’advertising elasticity – ovvero quanto una pubblicità sia efficace a generare nuove vendite.
Poi, con questo dato, insieme a quanto effettivamente è costato realizzare suddette pubblicità, hanno calcolato la redditività.
Vuoi sapere com’è andata?
Delle pubblicità per i 288 beni di consumo presi in esame, non solo l’80% non ha avuto successo, ma presentava addirittura un ROI negativo.
Facciamo un calcolo veloce.
Problema: calcola l’80% di 288.
Svolgimento:
Risultato: Delle 288 pubblicità considerate, approssimativamente 230 hanno generato perdite (in denaro e/o in immagine).
Dopo aver svelato il risultato più che negativo, Shapiro e gli altri hanno commentato:
“Speriamo che i nostri risultati motiveranno le aziende ad investire di più in dati e misurazioni tecniche che possano davvero migliorare l’efficacia delle loro pubblicità”.
Ed è proprio questo il problema.
Chi ha realizzato quelle 230 pubblicità ha dimenticato (più o meno innocentemente) che la pubblicità NON deve vincere l’Oscar come miglior corto cinematografico.
La pubblicità deve vincere il favore dello spettatore. Deve con(vincere) lo spettatore ad acquistare il prodotto o il servizio che sta servendo.
Dico “servendo”, perché la pubblicità deve servire IL prodotto e deve servire AL prodotto.
Perché molto spesso – come abbiamo visto, almeno nell’80% dei casi – la pubblicità diventa la protagonista e il prodotto rimane solo un oggetto di scena che riesci a notare solo se ti impegni.
– Rosser Reeves definiva questo come VAMPIRISMO PUBBLICITARIO. La pubblicità succhia energie ed efficacia, tutti ne parlano, ma nessuno acquista il prodotto che quel commercial avrebbe dovuto vendere.
– Clyde Bedell si chiedeva se fare pubblicità potesse essere un lavoro tedioso o stimolante. La sua conclusione in merito fu questa:
Fare pubblicità, così come viene fatto dalla maggior parte delle persone, rischia di diventare un compito meccanico e noioso.
Perché alla fine quello che devi fare è riempire gli spazi con i loghi, le foto, le descrizioni e i dettagli.
Per questo, i creativi danno il meglio di sé. Per vincere quella noia che proprio non riescono a sopportare, e per riempire il proprio sconfinato EGO.
Eppure ci sarebbe un’altra via. C’È UN’ALTRA VIA!
Generare pubblicità che vendono, questa è davvero l’essenza di questo mestiere. Ciò significa esercitare la propria professione in modo emozionante e si, diciamolo pure, in maniera CREATIVA.
Sì, ho proprio usato la parola con la C. Perché la Creatività non è da demonizzare (almeno non tutta). Come tutte le cose ha il suo contesto e i suoi modi d’uso. Purtroppo, per propri tornaconto personali semplicemente molti “pubblicitari” chiudono un occhio e fanno finta di dimenticarsene. Semplicemente perché non sanno fare diversamente. Non sanno vendere. Sono ARTISTI PRESTATI AL MONDO DEL MARKETING. E questo alla lunga non può funzionare.
Banalizzo, sempre con l’aiuto di Clyde:
– Un dispositivo il cui compito è segnare il tempo (l’orologio), dovrebbe essere esperto a segnare il tempo.
– Un dispositivo il cui compito è tagliare l’erba (il tagliaerba), non dovrebbe saper fare altro che tagliare erba.
– Per un dispositivo il cui compito è vendere (la pubblicità), vendere è la cosa che deve saper fare meglio di tutte.
Qual è stato quindi il siluro che ha colpito e affondato quell’80% di prodotti?
La Creatività che prima ancora di imparare le regole ha deciso di diventare maestra.
La Creatività non è stata soggiogata a canoni imprescindibili come la pubblicità scientifica basata sul Brand Positioning (quando si parla di big brand).
Un esempio perfetto di marketing ben fatto, su un eccellente modello di business, è il caso studio Kebhouze. Ideato da Oliver Zon e lanciato da Gianluca Vacchi (che dietro alla maschera che tutti conoscono per i balletti su TikTok e Instagram, si è rivelato a me con la sua vera identità: un imprenditore brillante e lungimirante). Se non hai ancora letto quell’articolo, dovresti decisamente andarlo a recuperare qui => bit.ly/Kebhouze-Vacchi.
NOTA BENE: Se la tua è un’impresa geolocalizzata, non sei il detentore di un big brand e lavori in un ambito ristretto, per evitare di fare la fine dei 230 prodotti dello studio sappi che anni fa ho forgiato la Regola Errede basata su questi Quattro Canoni:
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La Misurabilità. Se non misuri come fai a correggere il tiro?
- La USP (Unique Selling Proposition – Unica Proposta di Vendita), ciò che rende unici e diversi dagli altri i tuoi prodotti/servizi.
- Le Credenziali. Nelle tue pubblicità non deve mai mancare la risposta alla domanda: “chi sono io per dirti questo e perché dovresti credermi”.
- E la Reason Why, che risponde alla domanda “perché un prospect dovrebbe rivolgersi proprio a me?”.
Se applicherai questi canoni alla tua pubblicità, stai certo che il rischio di fare la fine di quei 230 soggiogati dalle sirene della creatività fine a sé stessa si abbatteranno drasticamente, si avvicineranno allo zero assoluto. E grazie al supporto di questa Regola avrai molte più chances di arrivare diretto alla tua meta.
Siamo Venditori, non siamo Artisti.
PS: ecco qui il paper di cui ti parlavo. Goditelo: Paper-Shapiro-Hitsch-Tuchman
Cosimo