Le interviste (im)possibili: a tu per tu con Rosser Reeves

SENSAZIONALE! Dagli archivi segreti di un giornalista americano in pensione, scoperti vecchi nastri registrati che si credevano perduti in un incendio: riportiamo qui i frammenti di interviste salvati a tu per tu con i più grandi pubblicitari della storia

Una notizia di pochi giorni fa che ha creato enorme scalpore tra i pubblicitari e tutti gli appassionati di marketing.

All’ interno dei gruppi di studio ormai non si parla d’altro che di queste interviste ritrovate nell’archivio di un giornalista statunitense.

Il giornalista, deceduto lo scorso febbraio, aveva lasciato tutto il suo archivio ad un suo nipote del Wisconsin. Vere e proprie perle di archivio che si pensavano bruciate in un grosso incendio nel 1977.

Il giornalista aveva pensato di raccoglierle in un libro, ma una lunga malattia lo aveva debilitato e quindi non portò mai a compimento il suo progetto.

Grazie al nipote del giornalista, le interviste sono state rese di dominio pubblico attraverso questo blog.

Interviste sensazionali ai più grandi uomini di marketing, advertiser, copywriter mai esistiti.

Queste registrazioni sono state scoperte dopo che…

…ehm..ok, confesso! Nessun ritrovamento storico ma un originale espediente per attirare la tua attenzione!  ☺

È che volevo essere sicuro al 100% che tu leggessi questo articolo perché, anche se il titolo è un po’ burlone, il contenuto che troverai è tutt’altro che uno scherzo.

In realtà quello che ho voluto fare è stato trovare un simpatico escamotage che rendesse più piacevole la lettura e che desse un’aria informale ma allo stesso tempo autorevole a ciò che ti stai preparando a leggere.

L’intervista è inventata, ma le risposte sono del tutto “vere”, cioè riportano temi e metodi che l’advertising man di turno avrebbe senza dubbio sostenuto, perché sono in sostanza i concetti che hanno scritto nei loro libri.

Senza che tu ti debba affannare a cercare e leggere malloppazzi in inglese, e invece che spedirti direttamente ai  link per farti comprare questi libri (uno sguardo alle fonti daglielo comunque, non è certamente tempo sprecato) preferisco darti direttamente io in forma sintetica e colloquiale tutto quello che i più grandi di sempre hanno detto (e scritto) sull’advertising, vedrai che sarà anche piacevole e a tratti divertente leggere questa serie di post.

L’idea mi è venuta giusto due giorni fa, mentre riflettevo sull’ennesima sciocchezza creativa inventata da un’agenzia pubblicitaria italiana.

È stato proprio guardando quell’obbrobrio che mi sono chiesto: “Ma cosa direbbero personaggi come Rosser Reeves, o Victor Schwab, ma anche lo stesso Giancarlo Livraghi, della roba che si vede in giro oggi?!”

Giancarlo Livraghi ahimè l’abbiamo perso da un paio d’anni. Ma per fortuna ha avuto ampiamente il tempo di dire la sua sul perché da molti anni a questa parte l’advertising brancola nel buio. 

Ma bando alle ciancie, perché oggi ci è venuto a trovare direttamente in studio il fantasma di niente meno che Mister Rosser Reeves, grandissimo pubblicitario degli anni ’60, uno degli ultimi grandi esponenti della corrente scientifica dell’advertising e ideatore del metodo della Unique Selling Proposition.

Ed ecco qui, la nostra prima intervista (im)possibile a tu per tu con Rosser Reeves.

(Per inciso, a condurre l’intervista sarò io, quindi i virgolettati che inizieranno con C staranno per Cosimo, mentre i virgolettati con R staranno per Rosser. O Reeves, come ti pare ☺)

C: “Allora, Mr Reeves, innanzitutto come sta?”

R: “E come vuole che stia, Cosimo, mi sento un po’ evanescente da qualche anno a questa parte”.

C: “Ha ragione, in effetti potrebbe sembrare uno svantaggio quello di non essere più vivi. Ma anche qualche lato positivo ci sarà sicuramente…niente più malattie, niente più dolori, niente più clienti rompiballe…”

R: “Si, è vero…solo che mi tocca passare le giornate con quel vecchio farneticone di Bill Bernbach…lui e le sue campagne per la Volkswagen…”.

C: “Già, mister Reeves… Ma passiamo a parlare di ciò che interessa davvero a noi due e chi ci legge, cioè di advertising. Cosa ne pensa della pubblicità che si vede oggi in giro?”

R: “Guardi, Cosimo, io sarò pure uno vecchio stampo, vissuto in altri tempi. Ma non mi posso stupire di vedere quello che vedo oggi, nella pubblicità. D’altronde, e soprattutto nel vostro paese, la pubblicità è stata così tanto sottovalutata e poco funzionale per così molti anni, che a mio parere ne state subendo le conseguenze ancora oggi”.

C: “Cosa intende dire con poco funzionale?”

R: “Intendo dire che la cosa che conta di più in una pubblicità è una sola: la concretezza. Concretezza nell’offerta, nella chiamata all’azione, nella reason why…tutto deve orbitare attorno a fatti concreti e precisi, non a simpatiche allusioni o a divertenti storielle creative”.

C: “Eppure lo storytelling si usa ampiamente ancora adesso e non si può negare che svolga una qualche funzione…”

R: “Certamente, non voglio assolutamente negare l’importanza di una storia. Il problema è quando la componente emozionale non è supportata dal raziocinio per giustificare il messaggio. Ma ti faccio questo piccolo esempio: un advertiser che lavorava per un’azienda di alimentari, aveva scritto una storia molto forte. Questo advertiser usava questo espediente drammatico nella sua campagna, e la campagna oggettivamente era guardata e ammirata da molti. Ma purtroppo per il suo cliente, la storia prevaricava e sbiadiva l’efficacia del suo copy…nel tempo solo il 9% degli utenti ricordava l’annuncio, e tra questi il 38% ricordava un espediente inutile, che non conteneva nessun messaggio che spingesse all’acquisto”.

C: “E quindi l’ importante è fare entrare il messaggio nella testa delle persone?”

R: “Non è tutto qui. Penetrare nella testa delle persone non sempre porta chi deve vendere a effettuare le vendite. Possiamo avere un ampio raggio di persone “penetrate” dal nostro messaggio e non ottenere vendite. Un uomo può urlare da un tetto, può suonare e ballare soffiando in un fischietto d’oro. Beh, per queste buffonate probabilmente le persone si ricorderanno di lui. Ma non è detto che ciò li conduca ad acquistare il suo fischietto”

Ok, provo ad essere un pochino meno vago. Partendo dallo sconcerto che si prova nello scoprire il numero enorme di campagne che non vengono minimamente ricordate, ed il numero altrettanto spropositato di campagne che non convincono nessuno all’acquisto, si segni questa cosa qui sotto Mr. Errede.

  • Quante persone ricordano/non ricordano la nostra attuale pubblicità. Questo viene definito indice di penetrazione del messaggio.
  • Quanti consumatori si trovano in ognuno dei due gruppi. La differenza tra questi due dati permette di stabilire quanti sono stati spinti all’acquisto del prodotto dalla pubblicità. Questo dato è l‘indice di propensione all’acquisto.

Ora mi risponda lei Cosimo: quante aziende tra quelle che oggi in Italia investono in pubblicità hanno in mano questi dati? Quanti Brand conoscono gli indici qui sopra? Ma soprattutto, tra tutti coloro che allocano budget, quanti si vedono sottoporre dai creativi di oggi inutili (spesso dannose) campagne di immagine che magari “emozionano”, ma che non convertono un dannatissimo centesimo?

C: “Avrei la risposta Mr. Reeves. Ma sarebbe una serie interminabile di improperi ed ingiurie nei confronti dei creativi e dei socialmediaqualcosa (per non parlare dei fuffa-influencers), quindi per evitare di beccarmi qualche querela preferisco tacere. E quindi? Quale è la via giusta?”

R: “La via giusta, se mai ne dovesse esistere una sola, è quando un’azienda con un messaggio forte riesce a infilare la sua storia nella testa di poche persone, meglio se con disponibilità economiche adeguate a sostenere la spesa richiesta. Dall’altra parte un’azienda con un messaggio inefficace potrebbe infilare la propria storia nella testa di chiunque, e finire in bancarotta”.

C: “Secondo lei, mister Reeves, è ancora possibile per le aziende farsi buona pubblicità?”

R: “Tutto è possibile, ma le forze della creatività e delle menti degli advertisers si devono concentrare di più nel trovare nelle aziende quelli che io chiamo gli extra-edge, i vantaggi extra”.

IL CONSUMATORE TENDE A RICORDARE SOLO UNA COSA DI OGNI AVVISO PUBBLICITARIO. UN SOLO, FORTE ARGOMENTO, O UN SOLO, FORTE CONCETTO.

C: “Parla di una Unique Selling Proposition?”

R: “Una volta che hai riassunto tutti i principi che stai cominciando a sviluppare, stai mostrando davvero il tuo advertisement in una nuova luce? Ne viene fuori una pubblicità più efficace? È in grado di dare all’azienda un vantaggio extra? Una USP fa tutte queste cose”.

C: “Il più delle volte la pubblicità di adesso non fa tutto questo…”

R: “Vero, assolutamente vero. C’è da dire che le cose sono molto cambiate rispetto a quando io facevo il copywriter e il pubblicitario. Ma se oggi la concorrenza è così spietata, se tutte le aziende in ogni settore sono dovute scendere sul campo della guerra dei prezzi, la colpa è anche di anni e anni di vantaggi vaniloquenti”.

C: “Che cosa intende per vantaggio vaniloquente?”

R: “Nel 1800, prima della Riforma, i docenti di teologia dell’università di Parigi per anni hanno discusso su quanti angeli potessero danzare sulla punta di uno spillo. Allo stesso modo si comportano i pubblicitari di oggi che prendono spunto da piccolissimi vantaggi, quasi inesistenti. Si chiama “bancarotta delle idee” e porta inevitabilmente alla distorsione dei fatti, all’esagerazione, alle affermazioni ingannevoli che hanno creato pessima fama a tutto il mondo pubblicitario. Non pubblicizzare i vantaggi, ma i vantaggini”. Se tra tutti i neologismi che sono stati creati negli ultimi anni dovessi sceglierne uno per descrivere il “vantaggio vaniloquente”, userei la parola “FUFFA”.

C: “Quand’è che un pubblicitario sceglie di pubblicizzare un vantaggino?”

R: “Non si può dire con esattezza quando questo avviene. Ma stai sicuro che il buon senso ti avvertirà: starai osservando pessima pubblicità, non solo da un punto di vista morale ma anche per i suoi risultati commerciali”.

C: “Ma mister Reeves, se io dovessi farle la domanda da un milione di dollari.
Qual è l’errore più grande da non commettere mai in advertising?”

R: “Ti posso rispondere con l’errore da un milione di dollari, che ha generato perdite multimilionarie: cambiare troppo frequentemente le tue campagne pubblicitarie, che distrugge la penetrazione nella testa delle persone. È uno dei principi più vecchi dell’advertising, ma è ancora spesso ignorato, nonostante ci siano un po’ di brand sul mercato che non hanno cambiato campagne 5, 10, 15, 20 volte negli ultimi 20 anni. Se fai una brillante campagna ogni anno, ma ogni anno la cambi, il tuo concorrente può facilmente sorpassarti con una campagna molto meno brillante purchè il suo copy non cambi”.

C:”Un annuncio pubblicitario dovrebbe mostrare i migliori benefici?”

R: “ Le campagne reali, quelle che salgono la scala di penetrazione molto velocemente, non mettono mai il consumatore in questa situazione. Al contrario, essi riuniscono le loro energie insieme in una spirale stretta. Lo presentano con un claim toccante o un solo concetto che si può facilmente ricordare. Come uno specchio ustorio, che concentra i raggi del sole in un solo caldo, luminoso cerchio, questi riuniscono tutti i componenti in un unico cerchio incandescente”.

C: “Cosa ne pensa dei pubblicitari di adesso?”

R: “Mr. Errede, mi concede un attimo per raccontare una storia (vera) ai suoi lettori? Faccio finta che mi abbia detto si. Eccola:

Un periodico di pubblicità fece un’indagine tra i creativi di 25 grandi agenzie per stabilire quali fossero stati i tre peggiori spot degli ultimi anni. Gli intervistati scelsero (come peggiori tra tutti!) due dei più fantastici successi commerciali degli ultimi venti anni. Il primo aveva lanciato un nuovo prodotto ed in soli 18 mesi aveva tolto di mezzo tutti i concorrenti, raggiungendo una quota del 60% e dilatando il mercato globale. Il secondo spot aveva ottenuto risultati simili in un altro settore. Le spiegazioni degli intervistati erano a dir poco bizzarre: Non c’è un minimo di intelligenza o vivacità” si lamentò uno di loro. “Poco originali” aggiunse un altro. “Assolutamente noiosi” fu la sentenza di un terzo. “Sono felice di non averli pensati io” sogghignò un quarto.

Erano tutti pubblicitari!

I nuovi pubblicitari (non parlo di quelli che avete oggi in Italia. Parlo di una moda dilagante da molto tempo anche negli Stati Uniti) non sono più venditori, sono diventati degli uomini di spettacolo”.

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C: “Una storia davvero eloquente ed un’affermazione molto forte”

R: “Eppure è così. Una volta era così e noto con dispiacere che le cose sono ancora così”.

C: “Ancora un paio di domande, mister Reeves, e poi la lascio andare ai suoi… affari”

R: “Dica pure”.

C: “Quanto influisce secondo lei Internet sulla scelta di fare un certo tipo di advertising piuttosto che un altro?”

R: “Internet è un mezzo molto potente che i pubblicitari non sanno sfruttare a dovere. Ovviamente se si continua a preferire la creatività alla conversione, Internet è un immenso bacino di cose creative da cui attingere, però quelli che sanno davvero usare ad esempio l’email marketing, o gli annunci a risposta diretta, sono pochi”.

C: “Per chiudere. Che cos’è la realtà nell’advertising?”

R: “È riportare quali sono le caratteristiche delle campagne di maggior successo. Ovvero: Una proposta al consumatore che non sia solo parole, non solo fumo senza arrosto, non solo advertising che faccia vetrine da esposizione. Una proposta che il concorrente non può offrire o non offre proprio”.

C:“A proposito Signor Reeves, dalla sua posizione di osservatore privilegiato, se potesse a chi consiglierebbe di rivolgersi in Italia per mettere in pratica i suoi insegnamenti e quelli di altri che come lei puntano al risultato e non a inutili performances pubblicitarie artistiche? Se dovesse dare indicazioni a un manager o a un imprenditore, che agenzia secondo lei potrebbe dar loro vendite, ROI, efficacia, e non fuffa?”

R: “Mister Errede, lei la sa lunga! Ovvio che se dovessi dare un consiglio ad un manager o un imprenditore su chi rivolgersi per ottenere risultati in tema di vendite e ROI, sarei costretto a consigliare di rivolgersi a lei, visto che in Italia ormai fanno tutti fuffa all’ennesima potenza, ma non mi metta nella condizione di dover fare marchette dall’aldilà, la prego 😉”.

C: “La ringrazio, mister Reeves. Se le capiterà di ripassare per di qua le saprò dire come vanno le cose”

Spunti tratti dal libro di Rosser Reeves Reality in Advertising (1961)

Questo volume ha avuto negli Stati Uniti cinque ristampe in due anni ed ha suscitato nel mondo pubblicitario un dibattito di enorme portata, tuttora in corso; si presumeva che avrebbe generato altrettanto eco anche nel nostro paese, ma qui, si sa, siamo figli di Carosello, e per questo (FINORA!) hanno avuto la meglio i creativi con la loro sterile pubblicità di immagine.

L’Autore di quest’opera, Rosser Reeves, fu il Chairman of the Board di una delle maggiori agenzie pubblicitarie americane, la Ted Bates & Co.

Egli, parlando dall’alto di quasi trent’anni di esperienze intense e costruttive, con uno stile vivace, con ritmo serrato, in un’opera oltre a tutto, di piacevole e veloce lettura, cerca di richiamare i tecnici e gli utenti di pubblicità al perseguimento di quegli obiettivi fondamentali dell’azione pubblicitaria, troppo spesso obliterati sotto l’accumulo di obiettivi secondari e tecniche vaghe.

Giancarlo Livranghi afferma, nella sua presentazione dell’edizione italiana del volume, che esso “è senz’altro consigliabile a tutti coloro che lavorano nella pubblicità, che se ne servono o che semplicemente desiderano comprendere meglio nel suo vero significato questo fenomeno così vistoso della nostra epoca”.

Il libro non è solo di critica: esso espone i principi che stanno alla base di una efficace azione pubblicitaria trattando tra l’altro i seguenti argomenti:

  • come sperimentare l’efficacia di un annuncio

  • come raggiungere una buona “penetrazione”

  • quali sono gli effetti della ripetizione e del confronto tra prodotti concorrenti

  • come il pubblicitario crea un U.S.P.

  • i limiti dell’impiego delle ricerche motivazionali

  • come eliminare gli effetti negativi della “visione vampira” nella pubblicità cine-televisiva

e decine e decine di osservazioni di enorme importanza pratica per i pubblicitari e per le aziende che utilizzano la pubblicità.

“UN AVVISO PUBBLICITARIO DEVE ESSERE PURAMENTE FUNZIONALE, E QUINDI IL CRITERIO DI GIUDIZIO È IL SUCCESSO CHE HA AVUTO COME AVVISO, E NON COME OPERA D’ARTE. BISOGNA GIUDICARLO SOLTANTO IN BASE A CONSIDERAZIONI COMMERCIALI, E NON CON UN PANEL COMPOSTO DA SIA PUR IMPORTANTI PERSONALITÀ”

Nota a margine: Pur non potendo contare su marchette dall’aldilà, ormai credo ti sia chiaro che se non vuoi sperperare il budget destinato alla pubblicità della tua azienda, hai solo una possibilità, contattami qui!

Cosimo Errede