Ceres fa schifo

Il curioso caso della marca di birra che faceva pubblicità insensata, finché un giovane pubblicitario scoprì qual era la chiave per far esplodere le vendite 

“…omissis…Siamo estremamente soddisfatti dei risultati, così come lo è il nostro cliente. Sono i risultati numerici e le reazioni del nostro target primario (Facebook  fanbase) a rispondere positivamente alla questione.

Oltre ai numeri puri (che sono stati comunque davvero strabilianti), le migliaia di commenti (5.000) e i “commenti ai commenti” sono la vittoria più grande. Altri ancora, poi, sono i segni della buona riuscita della campagna: il marchio che diventa autentico argomento di conversazione, una community che viene “ingaggiata” come forse mai in italia, senza concorsi né premi, e il dialogo vero tra brand e consumatori, che consente di conoscersi davvero meglio e di diventare sempre più “amici” anche e ben oltre al gergo di facebook…omissis…”

Oltre ai numeri puri (che sono stati comunque davvero strabilianti), le migliaia di commenti (5.000) e i “commenti ai commenti” sono la vittoria più grande!

Una dichiarazione di questo genere non può che essere considerata frutto di eccessivo consumo della bibita di cui sopra.

Qui non solo rientriamo nella famosa categoria del “basta che se ne parli”, ma addirittura diamo credito al famoso adagio secondo il quale “avere tanti like su Facebook significa avere tanti soldi”, omettendo la chiosa finale “al Monopoli”.

Non voglio riprendere comunque la triste storia nei suoi più profondi meandri.

Si è speculato sin troppo su quella questione lì, e dal web venne il verdetto più importante ( tanto che qualcuno disse “non fate scemenze, che qua la Ceres non la compriamo più manco regalata eh!”)

Entro quindi nel vivo di questo post, che tutto sommato vuole a questo punto essere un “mezzo riconoscimento” a chi (forse, chissà) sta cominciando a prendere un’altra strada rispetto al passato.

Ero da Vincenzo, il mio barbiere (ops! Hair stylist, che se mi sente si incazza), come tutti i giovedi mattina alle 10.00. Alle mie spalle andava MTV, con qualche bella canzone che faceva da sottofondo alle nostre chiacchierate, e ad un certo punto compare la nuova pubblicità della Ceres.

La vedevo nello specchio, quindi riflessa. E lì per lì infatti credevo di aver visto male. Alla fine dello spot compariva la scritta CERES FA SCHIFO!

Come sarebbe a dire CERES FA SCHIFO?

Ma no, dai…avrò visto male la scritta riflessa nello specchio. Non può essere che questi abbiano fatto una cosa del genere.

Una cosa interessante, fatta bene … a me molto famigliare tra l’altro.

Indovina cosa ho fatto appena fuori dal poncho del mio parrucchiere?
Ho preso lo smartphone, sono andato su YouTube e mi sono andato subito a cercare questo spot. Era tutto vero:

“CERES FA SCHIFO”

Dai uno sguardo se non ci credi, ecco qua lo spot.

Ti ricordi il film “Viaggi di Nozze”, la scena di Verdone e la Gerini in cui

  • Jessica: ‘O famo strano?
  • Ivano: Famolo! …E se vie’ quarcuno?
  • Jessica: Mejo. Potrebbe esse pure mejo.

Allo stesso modo i “creativi” di Ceres devono aver deciso di realizzare questa pubblicità: FAMOLO STRANO!

Questa probabilmente è la prova del fatto che quando alcuni “creativi” si accorgono che è sbagliato ciò che fanno, ciò li porta a copiare (anche spudoratamente e fuori contesto) chi ottiene risultati, che guarda caso qui è quello da cui ha imparato ( e sta ancora imparando) il sottoscritto.

Sto parlando di Frank Merenda. Se vuoi ti scrivo qualcosa di lui, ma forse sarebbe superfluo. Non ha certo bisogno di mie presentazioni. Dico solo per quei pochi che non lo conoscessero, che sto parlando del numero uno indiscusso del marketing in Italia (è riduttivo, lo so, scusa Frank).

Per brevità ti incollo qui sotto un paio di immagini che dovrebbero farti capire al volo come e dove è stato copiato (malamente, e poi ti spiego perchè).

Questa è la copertina del suo libro

Se hai un po’ di lungimiranza riuscirai certo a comprendere che questo articolo non fa ovviamente parte di quelli che in gergo chiamano “marchette” (e di cui il web è pieno), in questo caso una marchetta a Frank Merenda.Ora ti spiego per quale motivo mi è saltato subito agli occhi lo spot Ceres fa Schifo, e per quale motivo non è detto che funzioni.

  1. Per quale MOTIVO VENDERE FA SCHIFO?
  2. Per quale MOTIVO CERES FA SCHIFO?

Prima di addentrarmi in una disquisizione in merito, voglio precisare che stiamo parlando di quello che venne definito molti anni fa NEGATIVE APPROACH.

E’ un approccio rischioso, non c’è che dire. Può “far alzare il pelo” ad alcuni che non approfondiscono perché a pelle provano una repulsione per tale tecnica comunicativa. Ma se funziona, funziona.
E come ogni cosa per funzionare devono esserci dei presupposti e delle conditio sine qua non.

Un vero maestro del NEGATIVE APPROACH fu Bill Bernbach.
Ti riporto di seguito un paio di sue intuizioni, che ad oggi sono considerate ancora la prima in assoluto e una tra le dieci migliori campagne pubblicitarie mai create da essere umano.

Ti sto parlando di “Think Small” di Volkswagen e di “Siamo i numeri 2” di AVIS.

  1. Quando tutti credevano che l’auto doveva essere uno status symbol, e facevano faville i macchinoni della Ford, Bill Bernbach fece uscire questa campagna per il maggiolino della Volkswagen.

Un’automobilina piccola in alto a sinistra, il resto della pagina bianca, il claim “think small”, ed un testo esaustivo sotto.

“La nostra automobilina non è più tanto una novità. Le due dozzine di studenti del college che cercano di strizzarcisi dentro non ci sono più. Il ragazzo del distributore non chiede più dov’è il tappo del serbatoio. Nessuno si meraviglia più della sua forma. Molti che guidano già da un po’ il nostro macinino non pensano più che 32 miglia con un gallone siano un risultato eccezionale. O che sia eccezionale usare solo cinque pinte di olio invece di cinque quarti. O non avere necessità dell’antigelo. Perchè quando ci si abitua a queste cose poi non ci si fa più tanto caso. Tranne che quando riuscite a strizzarvi in un parcheggio minuscolo. O quando rinnovate la vostra assicurazione piccolina. O pagate il conto al meccanico, anch’esso piccolino. O quando rivendete la vostra vecchia VW per prenderne una nuova. Pensateci su.”

La domanda che ti pongo adesso è questa: secondo te questo concetto è credibile? E se fosse “invertito”, sarebbe comunque verosimile?

Mettiti da parte questa domanda. Ne riparliamo tra un po’.

Passiamo ora ad AVIS.

  1. Dopo quindici anni di investimenti sbagliati e soldi buttati nel cesso, AVIS era ormai al collasso.

Colui che fu investito dell’onere di far quadrare le cose, Robert Townsend, cominciò ad eliminare tutto ciò che era superfluo.

Assistenti, regali, buoni parcheggio e buoni benzina, addirittura segretarie e uffici ritenuti da lui non indispensabili.

Poi fece la cosa migliore che potesse fare, e da McCann-Erickson passò ad un’altra agenzia di pubblicità. Passò da una all’altra in rassegna una decina di agenzie candidate.

“Voglio risultati come se stessimo investendo 5 milioni di dollari. Ma ne abbiamo solo uno.”

Si ritirarono tutti, tranne la DDB e quindi Bill Bernbach. Che mise però una condizione.

Deve promettere di approvare qualsiasi cosa noi scriviamo senza cambiare una virgola. Ci piace vedere uscire quello che scriviamo e non ci piace vederlo cambiato e compromesso in inutili riunioni fiume nei vari CDA. Quando una buona pubblicità arriva lì ne esce ammazzata“.

Townsend accettò. E fu la cosa più saggia che potesse fare.

Ne uscì una campagna di una tale efficacia che ben presto AVIS cominciò a risalire la china.

Era tutto incentrato sul non essere leader della categoria (il leader era Hertz). Il concetto che passava era SECONDI È MEGLIO. Quando non siete i primi dovete mettercela tutta, altrimenti i primi vi mangiano.

E questo approccio cominciò a far percepire ai potenziali clienti il fatto che per rimanere in corsa AVIS forniva servizi migliori e cura maniacale.

Fu un successo senza precedenti.

La domanda che ti pongo adesso è la seguente. Secondo te questo concetto è credibile? E se fosse “invertito”, sarebbe comunque verosimile?

Mettiti da parte questa domanda. Ne riparliamo tra un po’.

PS: Per darti conferma di quanto ti sto dicendo, di seguito una Top10 delle migliore campagne di sempre, secondo Advertising Age, la più autorevole fonte al mondo sulla pubblicità.

No, non è un caso. La 1 e la 10 sono proprio quelle che ti ho descritto negli esempi precedenti.

Che cosa significa la domanda che ti ho posto per due volte consecutive?

IL CONCETTO E’ CREDIBILE?

  • Per quanto riguarda “Think Small” assolutamente si. Il Claim, accompagnato dall’immagine giusta e dal copy adeguato è assolutamente credibile. Pensa in piccolo, e non avrai problemi di parcheggio, di costose assicurazioni, di consumi esorbitanti! Ci sta tutto no?
  • AVIS ci spiega con la sua campagna che non essendo loro i leader del settore dell’autonoleggio (il leader è Hertz), se vogliono tenere il passo non possono permettersi di fare errori. A loro non sarebbe perdonato. Si danno da fare il doppio di Hertz e quindi trasmettono facilmente il concetto di cura maniacale. Verdetto: credibile!

Passiamo all’inversione.

IL CONCETTO INVERTITO, SAREBBE VEROSIMILE?

  • E’ proprio su questa inversione che Bill Bernbach ha puntato. Quando tutti “pensavano in grande”, lui ha portato una fetta di mercato a pensare in piccolo. La prova dell’inversione è ampiamente superata.
  • Non abbiamo bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Siamo leader del mercato. Se lo siamo un buon motivo dovrà pur esserci non è vero? Ecco. Se Hertz avesse assunto questa posizione, nessuno avrebbe potuto avere nulla da eccepire. Prova dell’inversione anche qui superata a mani basse.

Ma non stavamo parlando di Ceres e di Frank Merenda?

Si, è vero, forse la sto prendendo alla larga. ma sono certo che questo ti faciliterà nella comprensione di quello che è il tema principale di questo post.

Ci siamo. Adesso concentrati.

  • VENDERE FA SCHIFO: Il concetto è credibile?

Bisogna riconoscere che un’ampia fetta di esseri umani pensa che sia così.
Questo, molto probabilmente, anche grazie alla visione distorta del Marketing, dell’Advertising, e di tutte le discipline connesse, (tra cui la vendita stessa, ad ogni livello) che fu data intorno alla metà degli anni ‘50 da Vance Packard, autore del libro I PERSUASORI OCCULTI.

Secondo la sua strampalata tesi infatti, chi si occupava di pubblicità manipolava in maniera subdola i recettori dei messaggi, che venivano quindi quasi IPNOTIZZATI dalle pubblicità. Da qui, molto probabilmente, nascono i primi pregiudizi.

Inoltre, e qui nasce (credo) la definizione VENDERE FA SCHIFO, nella nostra società, coloro che decidono di fare i venditori, sono visti da molti come “gli scappati di casa” (cit.). Quelli che non sono stati capaci di prendersi un titolo di studio e non hanno avuto mai sotto le mani un bel LAVORO A TEMPO INDETERMINATO. Il concetto appare credibile.

  • CERES FA SCHIFO: Il concetto è credibile?

Oddio, qui mi cominciano le prime difficoltà.
Chi può dirlo? De gustibus disputandum non est. Magari ad alcuni piace. Ad altri no. Alcuni non sanno neanche della sua esistenza, altri la bevono tutti i giorni.
“MI PIACE / NON MI PIACE” – “E’ BUONO / NON E’ BUONO” ha davvero poco senso nel posizionamento di marca.

Inoltre lo spot è fatto in maniera tale da voler trasmettere il concetto secondo il quale chi non beve Ceres alla fine è uno sfigato, un disadattato.

Che dire. giudica tu se sia credibile o meno.
Senza dubbio però è liberamente interpretabile, il che non è mai un bene per una pubblicità.

IL CONCETTO INVERTITO, SAREBBE VEROSIMILE?

  1. Vendere è una figata!

Assolutamente possibile che sia così in alcuni casi, vero? Quali per esempio?  Se sai come farlo, e vendere ti fa portare a casa soldini in quantità tale che i supermegadirettori  plurilaureati neanche si sognano.

E vendere ti fa raggiungere status sociali talmente elevati che nemmeno il principe che andava a cantare a Sanremo può tenere il passo.

Non solo. L’inversione è presente subito sotto al titolo. Vendere fa schifo (se non sai come farlo). E’ verosimile, non serve neanche discuterci su.

CERES.
Ceres è una birra buonissima! Ceres. Bevila e fai parte di una Cerchia Ristretta Top Class. Ceres. What else?

È cosi nella realtà? …

Credibilità ed Inversione sono due peculiarità che non possono mancare quando si tratta di “portare al mondo là fuori il tuo messaggio”.

Che tu venda birra o viti da 12 per pannelli truciolari. Credibilità ed Inversione sono due caratteristiche che secondo Al Ries non possono mancare, quando sei in cerca di “una posizione nel mercato”.

Ho detto Al Ries.

E quando parlando di posizionamento di marca dico Al Ries, è come se parlassi di Bugatti nell’automobile, di Valentino nella moda, di Quentin Tarantino nel cinema, etc. etc.

Nel messaggio di Ceres manca l’elemento FONDAMENTALE perché il tutto funzioni. Andiamo ad analizzare la cosa.
Nello spot Ceres l’elemento di inversione per cui la Ceres, che in realtà sembra fare schifo ma in realtà è un prodotto entusiasmante, sta nella presentazione di due scenari diversi.

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Il primo col signore solo ed esaurito, e il secondo con i vicini che fanno festa.
E d’accordo.
Ma di quale scenario fa parte il tuo cliente?
Perché se fa parte del secondo va bene.

Ma se fa parte del primo, il problema è che …

Non vengono dati elementi di inversione a suo favore, secondo i quali bevendo Ceres sta facendo la cosa giusta.

Che è l’obiettivo e la strategia essenziale di chi usa il negative approach.

Qui il cliente del primo scenario rimane solo ed esaurito e basta.

Però il target di Ceres da sempre è un target giovanile e festaiolo.

E quindi quel signore di mezza età che beve Ceres come si inserisce?

È tutta una gran confusione. Sembra il tentativo maldestro di fare qualcosa di efficace, come il negative approach, che poi nella realtà non fa altro che restare una campagna creativa, senza obiettivi e senza misurabilità.

Quale dovrebbe essere il motivo per il quale, vedendo quello spot, una persona dovrebbe decidere di uscire di casa per andare a comprarsi una Ceres?

Quindi no, cari creativi che lavorate per Ceres. Non ha funzionato neanche questa volta, anche se bisogna riconoscere che ci avete provato.

Il problema è che “non basta guardare quello che fanno i migliori e copiarli, se non si sa cosa c’è dietro”.

Per concludere … Ceres fa schifo!

Ogni singolo messaggio. Ogni pubblicità, che sia esso spot televisivo, radiofonico, inserzione su carta stampata, o che si tratti anche di ormai popolarissimo (sputtanato) web marketing, DEVE CONTENERE UNA REASON WHY.

E’ ora che gli imprenditori capiscano che NON ESISTE una pubblicità che non genera reazioni.

Il problema è che non essendo metriche misurabili con i like, molto spesso tu, imprenditore, non sai che stai regalando clienti e soldi ai tuoi competitor – oltre quelli che versi nelle casse dei creativi ovviamente.

  • Ti parlo in maniera più approfondita di questa carenza incancrenita nel panorama pubblicitario italiano.
  • Ti spiego com’è possibile che le agenzie creative continuano a vincere sciocchi premi OLISTICI a Cannes o giù di lì, ed i loro clienti continuano ad andare a picco.

Lo farò presto. Sto preparando un post prendendo spunti da un vero genio dell’advertising, che è Rosser Reeves e che tutti gli advertiser (o presunti tali) di oggi dovrebbero tornare a studiare sui banchetti di scuola.

Se tu, nel frattempo, deciderai di venire a scoprire di persona quali sono stati i risultati delle mie ricerche in campo pubblicitario, e capire cos’è che non va con le campagne della tua azienda, contattami e scopri cosa posso fare per te.


Cosimo Errede