Gentilini… che combini?
La pubblicità creativa e senza strategie di posizionamento si porta via anche i migliori. Ecco come stanno rischiando di rovinare i Gentilini, la mia marca di biscotti preferita.
Te li ricordi i biscotti Gentilini?
Se sei di Roma non puoi non conoscerli. Qualcuno afferma che “la Gentilini non produce biscotti ma una pietra angolare della colazione dei romani”…
Se non sei di Roma, forse te li ricordi per uno spot a metà tra il trash e il bizzarro andato in onda per la prima volta nel 2014 , in cui si vedevano dei biscotti ballare e cantare a ritmo di rap.
Lo spot dei Biscotti Gentilini, con una divertente animazione dove i tre prodotti più noti della antica casa dolciaria romana ballano a ritmo di rap, ha vinto il primo premio della categoria “effetti speciali ed animazione” ai Key Award.
Lo spot è questo:
Per la prima volta in 125 anni di storia dell’azienda romana di prodotti dolciari, Gentilini ha deciso di espandere il suo raggio d’azione anche fuori da quello che è storicamente il suo territorio, cioè Roma e dintorni.
E ha deciso di farlo con una pubblicità che, dagli effetti grafici alla “colonna sonora” strizza l’occhio alla modernità e soprattutto a un target specifico molto diverso dal suo originario.
In questo articolo cercheremo di capire di cosa si siano fatti i creativi dell’agenzia che ha progettato questa campagna per un brand classico e tradizionale come Gentilini…
Ovviamente, sto scherzando.
Nonostante io non sia d’accordo con la scelta di advertising fatta, e ti spiegherò subito il perché, posso capire che esistano dei marchi presenti da decine e decine di anni sul territorio, che a un certo punto sentono l’esigenza di “svecchiare” l’immagine.
Il problema vero qui non sta nello strumento (la pubblicità d’immagine), ma nelle modalità, ovvero nel modo in cui un’azienda storica e tradizionale come Gentilini abbia deciso di diluire la sua immagine con gli spot animati e pupazzetti digitali.
In questo caso, perché cambiare?
Voglio dire, perché andare a toccare un qualcosa che funziona perfettamente, e non solo, che è riuscito laddove quasi nessun’altra azienda è riuscita, registrando addirittura incrementi di fatturato negli anni della crisi?
Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Ai fini di questo articolo è necessario fare un rapido accenno alla storia di questa azienda incredibile che da anni nella testa dei romani rappresenta il biscotto per eccellenza, classico e imperturbabile, senza vezzi.
Ah, quasi dimenticavo. Sai come mi è venuto in mente di mettermi a scrivere questo articolo?
Giusto la settimana scorsa ho fatto l’ennesimo ordine di libri su Internet, tra cui un vecchio titolo di Kenneth Roman e Jane Maas.
Il libro è “Come fare pubblicità”, del 1983, con prefazione scritta da David Ogilvy e premessa all’edizione italiana di Giancarlo Livraghi. Una cosa che mette l’acquolina in bocca solo dalla copertina. Un libro che tra l’altro avevo già a casa da tempo ma che si era perso nei meandri di chissà quale trasloco…
Beh, sta di fatto che ho iniziato a leggere e solo a pagina 14 sono incappato in due paginette che, te lo giuro, sembrava volessero parlare del caso “Gentilini” senza farsi riconoscere, tanto si adattava a ciò che è successo con l’azienda romana.
Ho fatto immediatamente due foto delle pagine in questione, che ti riporto subito:
Un biscotto da film (all’italiana)
Se ti dovessi raccontare l’azienda dolciaria Gentilini partirei dalle apparizioni cinematografiche del biscotto romano, quando nel 1955 Alberto Sordi appare con una fatidica scatola di latta in Un eroe dei nostri tempi di Mario Monicelli, o in diverse inquadrature in La famiglia di Ettore Scola del 1987.
Gentilini è, riassunto in poche parole, il biscotto che rappresenta la tradizione romana.
Il capostipite di questa grande famiglia è Pietro Gentilini, che ha intrapreso la sua eroica avventura in questo settore più di un secolo fa (l’ azienda ha festeggiato il suo 125mo compleanno l’anno scorso), aprendo a Roma il suo primo negozio di biscotti.
Il biscotto per eccellenza della Gentilini, l’Osvego, si presenta al pubblico con un’affascinante scatola di latta che riporta stampi antichi della storia romana.
Il piccolo negoziante italiano era arrivato dall’America, dopo un lungo viaggio in America Latina che lo aveva portato per diversi anni a lavorare per una grande ditta dolciaria, imparando alcuni “trucchi del mestiere”.
Il piccolo forno degli Osvego inizia a raccogliere grandi consensi dalle famiglie romane dei primi del ‘900 fin da subito, tanto che Pietro decide di aprire altri negozi in franchising.
Da via Principe Amedeo, a via del Corso, e da lì in avanti piazza Colonna, via Nazionale, Porta San Lorenzo. La produzione nel 1906 sbarca in via Alessandria.
Pochi anni dopo le prime pubblicità a mezzo stampa su Roma. Siamo nel 1922.
Regalo e ricordo di Roma? I Biscotti Gentilini. Guardarsi dalle contraffazioni
“Guardarsi dalle contraffazioni”.
I biscotti Gentilini hanno una ricetta segreta, che arriva da lontano ed è custodita gelosamente dai proprietari del marchio, Pietro e la moglie Matilde.
Che cosa stanno dicendo i Gentilini ai loro consumatori?
“Guardate che non ne esistono di altri come noi, e se ci sono, sono falsi o simili”.
Gentilini è motivo di orgoglio e fierezza dell’Italia, mentre ci si affaccia alla Seconda Guerra sulle tavole da colazione della famiglia reale ci sono gli Osvego, assieme alle “Margherite” e i “Vittorio”.
Nel periodo di guerra la sede di via Novara viene occupata dagli americani, ma i Gentilini riescono a superare quasi indenni anche questo momento di crisi, per tornare a cavalcare il boom economico degli anni ’50 in cui ottengono la loro consacrazione nelle case di tutti i romani.
In questi anni avviene il passaggio di consegna da Pietro a Ettore Gentilini, che durante la guerra era caduto prigioniero degli inglesi durante la guerra in Africa Orientale e aveva passato il resto del conflitto in un campo di concentramento in India.
A lui viene dato il compito di mantenere invariata la tradizione di famiglia e l’immagine autorevole dei biscotti.
Il racconto della famiglia Gentilini, riportato anche nel libro di Paolo Colaiacono “I LOVE Roma”, è un racconto di semplicità e povertà, ma di forti valori cuciti sul petto e stampati sulle latte dei biscotti con così grande fierezza da guadagnarsi un posto nel cuore dei loro clienti.
Come dice lo scrittore, i biscotti Gentilini sono comparsi in punta di piedi sulle tavole delle colazioni romane, ma ancora oggi le persone si riconoscono nei Gentilini, li amano e li sentono vicino a loro, e sentono che non potrebbero tradire mai gli Osvego o i Novellini con altri biscotti.
Sarebbe bellissimo riportare tutta la storia della famiglia Gentilini in questo post ma putroppo per motivi di spazio questo non mi è possibile.
Se sei interessato ad approfondirla però ti consiglio di cercare e acquistare il libro di Daniela Brignone “Gentilini: 125 anni di bontà”: è il racconto affascinante di come questa famiglia è entrata nell’ immaginario comune dei romani e degli italiani.
In questo articolo noi adesso torniamo a parlare subito di pubblicità, di marketing e delle fantastiche strategie inventate da Pietro, Ettore, e Paolo Gentilini, per portare i loro biscotti nella mente delle persone.
Le strategie di advertising di posizionamento 2.0 insegnate da una famiglia dell’800
I biscotti Gentilini arrivano a tutti, ma non nascono come biscotti per tutti. Per niente.
Nascono come “beni di lusso riservati alle classi benestanti”.
Si acquistavano per lo più come dono per occasioni speciali come una nascita o più semplicemente una visita ad amici e parenti o un invito a cena.
Solo in questo modo i “biscotti Gentilini” sono diventati i dolci della famiglia reale, e con il tempo sono entrati nel 98% delle famiglie a Roma.
Le scatole di latta? I soggetti sempre diversi, personalizzati? Gli stampi austeri di bronzo?
Tutti questi elementi sono definiti da Paolo Gentilini la loro “testa di ariete”.
Ok, a questo punto potremmo farci una domanda.
Possibile che gli eredi della tradizione Gentilini abbiano studiato i libri di marketing di Al Ries? Possibile, anche se molto improbabile.
Eppure Paolo Gentilini è stato in grado di tradurre esattamente quello che Al Ries chiama, tra i suoi elementi di branding, il “visual hammer”.
Un “martello visivo”, una testa di ariete che a forza di colpi di posizionamento entra con prepotenza nella mente delle persone, si piazza lì e non si smuove più.
A questo punto puoi trovare tutte le scuse che vuoi, ma qui non stiamo parlando di un grande imprenditore, di un esperto di marketing o di uno studioso di tecniche di posizionamento americane.
Stiamo parlando del figlio di un fabbro squattrinato di Vergato che lavorava come sgaloppino in un forno bolognese e che è emigrato in America Latina con la valigia di cartone per andare a lavorare.
Pubblicità d’altri tempi? Senza dubbio, in quegli anni nel settore dolciario c’è molto poco affollamento invece dominato dai pastifici.
Ma “tutto dipende da che punto guardi il mondo”, come diceva una nota canzone. Meno concorrenza cosa vuol dire?
Più possibilità di emergere da una parte. Dall’altra vuol dire avere il coraggio di intraprendere una strada mai battuta prima, sterrata e senza indicazioni.
Un treno che avanza
Il visual hammer di Gentilini è anche ciò che rappresenta il progresso in quegli anni: il treno che avanza a gran carriera.
Un simbolo che è rimasto austero, classico e quasi invariato negli anni assieme al font con le grazie usato per scrivere Gentilini.
Perché Gentilini rappresenta esattamente questo: la “Ferrari” dei biscotti, la tradizione e la autorevolezza.
Per altro di un prodotto considerato di lusso fino a qualche anno fa.
Ti ricorda qualcosa tutto questo?
Non ti viene in mente qualche altro prodotto di fascia alta, concepito come oggetto di lusso, che grazie al suo marketing e al suo posizionamento è riuscito a entrare nelle case – anzi, nelle tasche – di TUTTI QUANTI, anche di quelli che potenzialmente non potrebbero permetterselo?
I Gentilini dei giorni nostri
Ok, a questo punto fai tesoro di quello che ho detto finora, tieni a mente la storia dei Gentilini e torniamo con la mente ai giorni nostri.
A fine 2014, Gentilini affida la propria immagine e le proprie campagne pubblicitarie a una agenzia che fa parte del gruppo Mirus.
Il risultato del lavoro dell’agenzia su questo storico brand è questo:
Non sai in questo momento quanto mi piacerebbe sapere cosa stai pensando e quali sono le tue impressioni “a caldo” dopo aver visto questo spot.
Posso essere sincero?
Prescindo un attimo dai discorsi sul marketing, sull’advertising e sulle scelte strategiche, anche se è una cosa che non dovrei e non potrei fare.
Ma davvero, a cuore aperto… vedere questo video mi ha traumatizzato.
Io non so adesso tu quanti anni abbia, di dove sia e a quale generazione tu appartenga.
Ma io sono venuto su a latte e Osvego. Sono cresciuto con i Gentilini a casa, in quelle splendenti scatole di latta che la nonna mi faceva trovare in tavola. O addirittura i novellini che mi portavano sfusi, nelle buste del pane.
E vedere questo video in cui i MIEI biscotti, di quando ero piccolo, si animano e cantano canzoncine stupide, è stato un po’ come un pugno allo stomaco.
Ma andiamo avanti con l’analisi.
Lo spot mostra i 3 biscotti di punta della Gentilini, l’Osvego, le fette biscottate e i Novellini, che intonano un simpatico (…) rap mattutino.
Diego l’ Osvego è lo sportivo del gruppo: cool e moderno con il berretto alla moda, le grandi cuffie e le sneakers alte.
Betta la fetta è super trendy: sul viso sfoggia un leggero velo di trucco, che dà risalto ai lineamenti; il look “stiloso”, gli accessori e le scelte cromatiche esprimono il suo stile teen.
Un cambio di rotta inspiegabile
Il cambio di rotta è evidente, le motivazioni molto meno. Torniamo indietro per un momento, agli inizi del 2014.
L’azienda dolciaria Gentilini è nata nell’800 e oggi fattura 30 milioni di Euro all’anno.
La crisi la ha sfiorata di striscio.
I Gentilini raggiungono il 98% delle famiglie romane.
È tutto raccontato in un’intervista rilasciata su affaritaliani.it da Paolo Gentilini, che spiega per filo e per segno qual è la situazione in casa sua:
“A livello dolciario c’è stata una lievissima flessione (tra l’1 e il 2%) ma i biscotti Gentilini hanno mantenuto lo stesso volume degli anni scorsi. Il fatturato ha segnato aumenti di anno in anno a partire dal 2006, in particolare nel 2013, quando siamo cresciuti del 10%. Se pensa che una dozzina di anni fa fatturavamo circa 11 milioni di euro e oggi siamo a quota 30…”
Rileggendo l’intervista, c’è questo punto che adesso ti riporto qui sotto, che mi ha lasciato particolarmente perplesso.
Eccola:
Per mantenere gli stessi livelli avete dovuto adottare qualche cambiamento o diversificare la produzione?
“No, è rimasta invariata. Quello che abbiamo fatto è stato adottare politiche di maggior penetrazione in alcuni mercati regionali del nord – dove non eravamo molto presenti essendo radicati soprattutto nel Lazio – entrando in altre catene di distribuzione. Adesso stiamo costruendo un nuovo stabilimento in provincia di Roma. Con tantissimi problemi tecnici e burocratici (uno su tutti quello dello smaltimento delle acque), che solo dopo cinque anni si stanno finalmente risolvendo”.
Questa intervista risale precisamente al 4 Aprile del 2014.
Pochi mesi dopo, lo spot che a mio avviso scombina le carte in tavola.
Sì, perché sebbene non si tratti di diversificazione nella produzione, io direi che non ci sono dubbi sul fatto che Gentilini ha decisamente adottato dei cambiamenti nella comunicazione, no?
Ma andiamo per step.
Voglio immaginarmi per un attimo come potrebbe essere andata la riunione di brief sul cliente Gentilini, nell’agenzia in questione.
In una fredda mattinata d’inverno, il direttore creativo arriva in ufficio tutto tronfio. Ha appena avuto la conferma di quello che sarà uno dei clienti più grossi e importanti per loro: un’azienda presente sul territorio italiano dal 1890, che rappresenta la tradizione romana.
Il direttore ha già in mente tutto quello che gli serve da dire ai ragazzi del reparto creativo.
C’è una cosa sola da fare in questi casi.
Una campagna creativa on air per svecchiare l’immagine e fare brand awareness!
Social media marketing… coinvolgimento di un target giovane… racconti divertenti… premio ai Key Award.
Tutte queste immagini si susseguono rapidamente nella sua mente, mentre sale l’ascensore ed entra in ufficio, impaziente di cominciare la riunione.
In sala grande ci sono copy, art, l’account e un membro della video agency che realizzerà gli spot pubblicitari.
Il direttore si sistema la cravatta a pois rossi e verdi, e dopo una teatrale aggiustata al ciuffo di capelli che gli ricade sulla montatura di corno tondeggiante, inizia il suo discorso sornione.
“Siamo qui oggi per parlare di una grande azienda che si fregerà dei nostri servizi creativi. È un’azienda che fattura 30 milioni di Euro all’anno, a cui la crisi ha fatto solo il solletico, che ha attraversato due guerre mondiali e che oggi raggiunge il 98% delle famiglie romane…
Il copy e l’art prendono appunti…
“Loro si sono costruiti un posizionamento molto forte negli anni, grazie alla loro tradizione e la loro autorevolezza – sono stati i biscotti reali negli anni ’20 – ma adesso siamo giunti alla conclusione che è arrivato il momento di cambiare.
Quello che faremo con questo brand è una campagna creativa divertente, fresca e moderna … come tutti i prodotti dolciari come biscotti e torte, hanno bisogno di raggiungere un target più giovane, ed è esattamente quello che faremo!”
A questo punto però interviene uno dei membri, che accenna timidamente: “ma tutto questo non andrà in forte contrasto con il posizionamento della loro marca?”
Il direttore creativo, che vorrebbe rispondere a questo punto: “e a me checcazzo menefrega amme! Io voglio l’Award!” ma non può farlo, inizia a farfugliare cose sulla brand awareness, sul target più giovane e sulle campagne emozionali.
Una grande confusione in casa Gentilini
Il risultato è quello che abbiamo visto prima.
Ma perché mai l’AD di Gentilini dovrebbe affermare in una intervista di non aver attuato alcun cambiamento in azienda, e dopo un paio di mesi uscirsene con una pubblicità del genere, totalmente in contrasto con quello che è sempre stata l’immagine aziendale?
Per quale assurdo motivo un nome così forte e tradizionale come quello dei biscotti in questione, che non è stato scalfito nemmeno dall’ ultima crisi, registrando addirittura aumento di fatturato, dovrebbe rischiare di distruggere il posizionamento con una campagna del genere?
Perché l’agenzia pubblicitaria non ha deciso di rafforzare l’immagine e il posizionamento di Gentilini giocando con gli elementi che da sempre differenziano il brand?
A me viene in mente solo un motivo, che ora ti spiego subito.
La legge dell’accelerazione: tendenza o moda?
Hai mai letto “Le 22 immutabili leggi del Marketing” di Al Ries e Jack Trout? Se non l’hai fatto ti consiglio di correre ai ripari.
A ogni modo, la 21esima legge illustrata dai due titani dell’advertising è la cosiddetta “legge dell’accelerazione”, che sottolinea la differenza tra MODA e TENDENZA.
Secondo questa legge, per le aziende spendere soldi per cavalcare mode è una vera follia, mentre spenderne per costruire tendenze è la cosa giusta da fare.
Perché?
Perché le mode svaniscono e le tendenza durano, nella mente delle persone.
Da sempre il mondo campa di mode ed è regnato da esse. Eppure c’è un substrato di cose che sono meno fluorescenti ma che rimangono da sempre.
“Una moda passeggera è un fenomeno a breve termine che potrebbe essere redditizio, tuttavia non dura abbastanza per garantire un beneficio reale all’azienda.”
Le mode passeggere possono causare shock finanziari alle aziende.
A me non viene nient’altro in mente, se non il fatto che l’agenzia in questione abbia voluto cavalcare la moda del target più giovane.
Gesto coraggiosissimo, quello di espandersi per la prima volta a livello nazionale con degli spot in televisione.
L’ effetto di una campagna pubblicitaria così forte può esserci un aumento di fatturato, ma solo nel breve termine.
Fammi pensare… Cosa avrei fatto io?
“Cavalcare l’onda della moda dei pupazzetti in stile Mulino Bianco?” Eeeehm…no.
“Investire su pubblicità per rinforzare le credenziali come “il biscotto delle famiglie romane”?” Decisamente meglio.
I Gentilini, che indubbiamente hanno costituito e costituiscono ancora una tendenza, non possono venire distrutti dalle mode passeggere.
In più lo spot pubblicitario dei biscotti, così moderno, così “colorato” e avvincente è in enorme distonìa con il logo, l’immagine e tutta la restante immagine di Gentilini, anche per quanto riguarda la comunicazione sui social network.
Nel frattempo quale potrebbe essere una soluzione per Gentilini?
Se Gentilini dovesse rinvenire tutto a un tratto e rendersi conto che la strada dei pupazzetti digitali alla moda, potrebbe fare almeno tre cose diverse e sicuramente più redditizie.
Bada bene che quello che ti sto per dire ha il valore di una consulenza a tutti gli effetti, nel senso che in questo momento è come se stessi rendendo pubblica una delle consulenze private che faccio ai clienti della mia agenzia.
Se quindi Gentilini fosse mio cliente, la strategia che sceglierei per loro sarebbe questa:
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Focalizzarsi su uno dei tre elementi fondamentali della pubblicità per vendere: le credenziali.
Il brand Gentilini è quello che è grazie quasi esclusivamente alle credenziali che si è costruito nel tempo: da “il biscotto della famiglia reale” al “biscotto di tutte le famiglie romane”.
Una campagna di advertising deve contenere tutti e tre gli elementi fondamentali della pubblicità per vendere, ovvero reason why, credenziali e unique selling proposition.
Gentilini è già una tradizione. Non ha bisogno di riaffermarsi, né di risalire la china. Se il tuo obiettivo è farti conoscere a nuovi mercati, le credenziali sono fondamentali per avere successo nell’impresa.
Così come Barilla in America è diventata “la pasta che mangiano gli italiani”, gli spot di Gentilini dovrebbero recitare: “i biscotti da sempre nelle case delle famiglie Romane”, e magari tentare la strada delle credenziali “reali” (“i biscotti della Regina”, o “il biscotto della famiglia reale”).
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Abbandonare le animazioni e ri-focalizzarsi sul marchio storico: il treno
E a questo proposito vorrei allegarti un pezzo dell’articolo della mia amica Patrizia Parca un’ esperta italiana di logo design. Patrizia scrive così:
“La densità di significato di questo marchio è quindi molto alta, racchiusa in un’immagine relativamente semplice.
Infatti per quanto il tratto stilistico del treno con vari vagoni e biscotti, e il carattere aggraziato Gentilini che gli viene affiancato conservino il segno del tempo (e un tono vintage e decori vagamente liberty), il treno è un’immagine che la mente riconosce come unitaria, quindi “semplice”.
E’ un solo concetto visivo da memorizzare e l’attenzione può concentrarsi su quello.
Diverso sarebbe stato se accanto al treno ci fossero stati ad esempio, monumenti della città di Roma, persone o personaggi. In quel caso l’attenzione si sarebbe divisa fra questi elementi diminuendo la densità di significato e la capacità di memorizzazione del visual dell’azienda.
Questo perchè più elementi abbiamo sulla scena che ci richiedono attenzione, più tenderemo a distogliere lo sguardo. Un marchio aziendale non è un dipinto davanti al quale ci concediamo il tempo di analizzarne i piani di lettura e giochiamo persino a scovare i significati nascosti.
Quando i nostri occhi, distratti dalla vita quotidiana e sovrastimolati si posano su una confezione, su un cartellone pubblicitario o uno spot, l’attenzione e la memoria sono “settati” su un livello basso e ci sono frazioni di secondo perchè un marchio resti impresso.
Per questo oggi è necessario che la densità di un logo sia alta e possibilmente ottenuta con pochi elementi.
Certo nel 1935 c’erano meno problemi di questo tipo e meno sovraesposizione di informazioni, tuttavia l’intuizione di Pietro Gentilini rimane vincente proprio per questi motivi.”
Ti consiglio di leggere l’articolo per intero perché è davvero molto interessante, lo puoi trovare a questo link:
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Ri-focalizzarsi sul target storico
I biscotti Gentilini, alla loro nascita si sono posizionati come bene di lusso, entrando passo passo nelle case di tutte le famiglie.
Il brand è storico e legato in modo indelebile a Roma e alla sua gente.
Gentilini è tradizione di prodotti “fatti come quelli di una volta”, è profumo di biscotti appena usciti che si diffonde per la via Tiburtina, e qualità di materie prime eccellenti.
Cosa vuol dire tutto questo? Non certo che un brand che fa la sua fortuna su un territorio definito debba vivere e morire a Roma, senza poterne raggiungere altrettanta in altre zone.
Ma che visto il posizionamento, muoversi su territorio nazionale con campagne che vanno in netto contrasto con ciò che è storicamente Gentilini solo per cercare di raggiungere un altro segmento di mercato, cioè quello infantile, non è la strada giusta.
Tantomeno farlo scimmiottando altre pubblicità (Mulino Bianco e Colussi hanno usato lo stesso plot pubblicitario, con i biscotti animati che si animano e cantano) lo è ancora meno.
Il target di Gentilini è chi ama il prodotto da forno tradizionale e tipico regionale, mentre andare a pescare nel pubblico di chi compra già Mulino Bianco, Saiwa o altri brand più tipicamente giovanili e moderni non è una buona mossa.
Quali conseguenze avranno le nuove campagne pubblicitarie di Gentilini?
Gentilini sta tentando (è evidente) la scalata al mercato nazionale. Campagne televisive a gogò ed ampliamento dello scenario distributivo non possono che portare sul breve periodo un’impennata di consumi e un po’ di cassa.
Ma…c’è un ma. Solo supportando con investimenti a 7 (SETTE!) zeri questo tipo di iniziative, nel corso degli anni si riesce (forse) ad ottenere ROI positivo in bilancio. Quando si vuole entrare nella mente del potenziale cliente attraverso la televisione infatti, per poter avere revenues rilevanti, negli USA sono necessari ALMENO 50 milioni di dollari di investimento annuo. 10 milioni di euro in Italia.
Qualcuno ha scritto che nell’ advertising, così come nel marketing, il futuro non si può prevedere (a meno che non scriviate i piani dei vostri concorrenti: regola dell’imprevedibilità numero 17 del libro di Ries e Trout).
Buffo è il fatto che proprio chi ha scritto la legge dell’imprevedibilità, ci abbia azzeccato quasi sempre facendo previsioni sui mercati.
D’altronde è anche vero che non si può essere tutti Al Ries. Ma pian piano, approfondendo i suoi scritti, qualcosina comincio a saperne anche io.
In sostanza l’analisi delle nuove campagne di Gentilini non sembra annunciare nulla di buono all’orizzonte.
Se lo spostamento di focus e la concentrazione su un segmento di mercato molto diverso da quello che lo ha sempre differenziato si ripercuotesse anche sul logo, sul classico font di “Gentilini” e sul visual hammer delle scatole, gli effetti non sarebbero gli stessi che ad esempio hanno visto cambiare recentemente Google o Enel.
Così come non lo sarebbero le motivazioni.
Il rischio di assistere allo smantellamento di un’azienda vincente sarebbe davvero grosso, ma staremo a vedere.
A presto.
Cosimo Errede