I 7 punti di John Caples per fare pubblicità per vendere + 5 esempi di pubblicità inutile

Da un antico manoscritto riesumato dalla scrivania di un pubblicitario dei primi del ‘900, ecco cosa si può riutilizzare oggi di quei “polverosi” consigli

Estrapolati dal diario NON segreto (per molti creativi è più che altro un mistero) di un pubblicitario americano del ‘900 i sette punti indispensabili per fare advertising diretto

A fare pubblicità creativa sono bravi tutti, non ci vogliono grandi capacità professionali o specializzazioni particolari.

Bastano quei quattro corsi di comunicazione che ti fanno fare all’università e un po’ di fervida immaginazione per diventare pubblicitari creativi.

Per l’advertising diretto invece devi farti un culo così.

Con la formazione vendita, con il copywriting, con lo studio delle tecniche, con i test, spendendo soldi in corsi e soprattutto scendendo sul campo ogni giorno.

A fare pubblicità che vende ci vogliono i denti da squalo

La differenza, per farti capire, è la stessa che passa tra un venditore che fattura cifre a cinque e sei zeri, e uno che a fine giornata non mette assieme il pranzo con la cena.

Oggi è ancora più difficile di qualche anno fa perché c’è molta distrazione.

Non solo del consumatore, ma anche del pubblicitario stesso che si è distratto dal suo obiettivo primario che è vendere, dando più retta alle voci delle sirene della creatività.

Eppure l’advertising diretto esiste da più di un secolo. Sei stupito?

Già, noi non ci siamo inventati niente.

Lo so che forse non lo hai mai sentito, ma in realtà prima di questa esplosione di slogan divertenti e senza senzo, la pubblicità si creava in modo quasi scientifico, seguendo delle vere e proprie regole.

E quindi ok, il mondo non è più quello di 5 anni fa, figurarsi di 100, ok il mercato è molto più segmentato, ok c’è molta più concorrenza, ok tutto.

E allora visto che ci sono tutti questi ostacoli in più, io sinceramente, di affidarmi alla coglionaggine di quattro artistoidi da strapazzo che pensano a sé stessi e al loro lavoro come a quello di una pop star e che pubblicamente fanno l’elemosina perché non sanno aggiungere valore al loro lavoro … ecco, con loro ho deciso di non confondermi.

Ti sembra tanto strano, dico io? Ti sembra che sia antipatico e cattivo?

Ti sembra strano che in tempi in cui giusto l’altro ieri gli imprenditori si stringevano le corde al collo o si lanciavano dal quarto piano del balcone di casa loro perchè non sapevano fare fronte alla crisi, io voglia dare un aiuto concreto a quelli che vogliono tornare a distinguersi sul mercato?

Ti sembra strano che io, Cosimo Errede, voglia tirarmi fuori da quella massa ruminante di direttori creativi delle agenzie che pensano questo del loro lavoro:

“ … molti di noi hanno scelto un mestiere che diverte. Che ci permette di giocare. Di non prenderci troppo sul serio. Di vestirci come cretini e di legittimare la mondanità come impegno di lavoro …”

…?

Seriamente?

Se ti sembra così strano tutto questo, se pensi che sotto sotto c’è l’inculata, se pensi che gente del genere ti possa fornire un servizio di advertising più professionale e più affidabile a livello di ritorno di investimento, allora accomodati pure.

Se pensi che lo stesso tipo di advertising che fanno le multinazionali possa funzionare anche per la tua attività, allora mi spiace ma puoi fare solo una cosa, che è appoggiare qualche milione di euro sul loro tavolo e sperare che le persone a cui li stai dando non li usino per andare a legittimare la mondanità vestendosi come cretini.

O peggio per andare a comandare.

I sette punti fissi per fare pubblicità estratti dal diario di un pubblicitario americano del ‘900

Una volta non erano tutti così, però, soprattutto in America dove l’arte della “vendita stampata su carta”, come la chiamano loro, è sempre stata vista molto più come una scienza che un’arte.

Per inciso, io preferisco rifarmi a questi genii, piuttosto che agli artistoidi moderni con  foulard sgargianti e occhialetti che pensano che fare i pubblicitari sia come fare il carnevale a Rio.

Prendiamo ad esempio John Caples, giusto per dirne uno.

Nato nel 1900, John Caples è molto famoso nel mondo dell’advertising per un annuncio che risale alla prima metà del ‘900.

La headline di questo annuncio è stata riutilizzata in tanti altri pezzi di marketing diretto, la sua efficacia all’epoca fu talmente alta che divenne il cavallo di battaglia di Caples.

Per certi versi forse fu anche una condanna poiché rimase nella mente delle persone per molti decenni a seguire come un tormentone, in alcuni casi ne fecero addirittura delle parodie.

Fu uno dei principali esponenti della corrente scientifica di inizio ‘900, fu un grandissimo esperto nella realizzazione di pezzi di marketing a risposta diretta e nella teorizzazione di principi, tecniche e metodi scientifici per fare advertising.

Li quegli anni la “regolamentazione” della pubblicità in formule e regole fu uno degli aspetti principali della corrente scientifica, e John Caples fu tra gli uomini che ne scrissero di più in assoluto.

Tra i tanti manoscritti di Mr Caples ce n’è uno in particolare, “Tested Advertising Methods”, che dovrebbe essere tenuto in considerazione ancora oggi per realizzare pubblicità di successo.

Dico dovrebbe, perché purtroppo tutto il materiale creato in quel periodo del ‘900 da Caples e da tanti altri non solo non viene utilizzato, ma è proprio caduto miseramente nel dimenticatoio.

La cosa più assurda di tutte è che tra le righe di quei libri, che ti potranno sembrare colmi di regole troppo rigide e schematiche, sono DAVVERO racchiusi i segreti del marketing diretto che funziona e che vende.

Tutto il materiale che compri oggi su Internet sugli incredibili segreti e formule di marketing deriva da “Tested Advertising Methods” e da altri libri di quegli anni.

Sono tutte rivisitazioni e adattamenti di VERI segreti, che segreti poi non sono.

Perché pur essendo davvero antichi manoscritti dimenticati, guarda un po’, li puoi acquistare comodamente su Amazon a un prezzo accettabile (alcuni, altri costano anche tantino), e attingere così alla Fonte Originale invece che comprarti sul web abbonamenti e manuali zuppi di roba scopiazzata da libri di 100 anni fa.

In quel libro di Caples ad esempio puoi trovare “i 7 punti da tenere assolutamente in considerazione per una pubblicità di successo”, una teorizzazione dei principi assoluti dell’advertising.

Sono pochi punti, di una semplicità quasi imbarazzante.

Ma sai cosa è ancora più imbarazzante? La noncuranza con cui oggi vengono trattati questi punti dai pubblicitari.

In questo articolo quindi, dopo averti riportato i 7 punti di Caples, quello a cui voglio portarti è a un breve excursus negli ultimi 20 anni di advertising in Italia e farti letteralmente vedere, punto dopo punto, come le pubblicità che ti riporto come esempio non seguono i principi basilari per riscuotere successo.

Piccola parentesi prima di andare avanti …

Ti ricordo che stiamo parlando di teorie elaborate nei primi del ‘900, e in quegli anni il mondo della comunicazione non era paragonabile a quello di oggi, per mezzi di diffusione e per segmentazione di mercato.

Da una lato questo mondo era molto meno complesso, dall’altro però si serviva di un modo di fare pubblicità che ancora oggi si può benissimo usare, anche se i trend non fanno alto che parlare di social network e di marketing inconvenzionale.

Questo modo di fare pubblicità si chiama advertising diretto.

Ti ricordo anche che quando uno come John Caples ti scrive “pubblicità di successo” non intende “pubblicità che ha ricevuto un sacco di condivisioni e ha aumentato i like alla pagina Facebook”.

Giusto per essere chiari, visto che i blog di adesso sono pieni zeppi di articoli che tessono le lodi delle pubblicità in base a risultati non finanziari, ai “vanity metrics” delle aziende …

(like, condivisioni, commenti, reazioni… tutte cose che non c’entrano un beneamato niente col portare i sacchi pieni di soldi in azienda. Che tra l’altro era quello che succedeva nelle aziende in cui c’era uno come Caples, o come Ogilvy, a curare la pubblicità).

No, Caples ti spiega come scrivere l’advertising diretto che vende, ti spiega come creare un annuncio con ritorni sull’investimento.

Chiusa parentesi.

Quali sono questi sette punti per fare advertising diretto?

Sono questi:

  • Il tuo annuncio attira il pubblico giusto ?

  • Il tuo annuncio blocca l’attenzione del pubblico?

  • Il tuo annuncio suscita desiderio?

  • Riesci a provare che c’è un vantaggio economico?

  • Riesci a stabilire un rapporto di fiducia?

  • Dai la sensazione che sia tutto facile

  • Riesci a motivare i potenziali clienti ad agire subito?

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Letti così, sono sicuro che starai pensando: “Eh ma è ovvio, che grandi segreti sarebbero questi? Sono cose che sanno tutti dai, trite e ritrite da anni”

Bene, sarai contento se ti dico che hai ragione quindi.

Hai ragione! Per la precisione, è dal 1932 che questo testo è in circolazione.

E allora per quale assurdo motivo in giro oggi non c’è uno straccio di annuncio in grado di svolgere correttamente più almeno una sola funzione tra queste sette?

Te lo spiego io il perché.

Bada bene, questi non sono i “my 2cents”, ma sono dati di fatto, cose che puoi trovare davvero scritte in qualsiasi libro che sia degno di essere letto.

Comprati che so, “Il grande libro della pubblicità” di Giancarlo Livraghi e troverai le stesse cose.

La differenza è che io te le sto dando gratis perché voglio che tu capisca bene come stanno le cose prima di contattarmi.

Dicevamo.

Ecco perchè in giro oggi non c’è più uno straccio di annuncio in grado di svolgere correttamente più almeno una sola funzione tra queste sette: perché il passaggio dall’ advertising diretto all’advertising estetico e creativo ha cancellato sia le tante pagine scritte dagli scientifici, sia il tentativo di “mediazione” che a cavallo degli anni ’70 aveva tentato Bill Bernbach.

Ma passiamo direttamente ai casi studio, così riesci a capire subito cosa intendo.

Quello che devi capire ora è come NON costruire i tuoi annunci pubblicitari.

La pubblicità di immagine non serve a ottenere un alto ritorno sull’investimento, e a una PMI in Italia non serve assolutamente a nulla.

Ma se proprio vuoi farla, potresti ottenere dei risultati interessanti facendo i tuoi cartelloni o i tuoi spot seguendo attentamente questi 7 punti.

Eccoti alcuni esempi di come non va fatta la pubblicità

Esattamente cosa vuol dire?

Che pubblico attira questo cartellone?
Un po’ tutti, dirai tu, visto che attira l’attenzione in qualche modo. Ma coinvolge in maniera diretta il target che dovrebbe comprare il prodotto? In alcun modo, no.

È il classico cartellone che i bambini si girano a guardare e sghignazzando dicono: “Guarda mamma!!” tirandole il braccio.

Blocca l’attenzione sì, blocca l’attenzione del pubblico giusto? NO, assolutamente.

OK, ammettiamo che per un cartellone pubblicitario svolgere tutte le funzioni non è facile.

Ma un’offerta economica vantaggiosa si può mettere, no? Una chiamata all’azione? Dare una motivazione per agire subito?

E invece non c’è niente di tutto questo.
Milioni e milioni di euro per appendere in tutte le città una gigantografia di due tartarughe che trombano.

Non so quanto questo sia normale. Non lo so, forse nel settore automobilistico funziona così a vendere macchine. Ma ho i miei forti dubbi, se permetti.

A questo punto come vedi non si tratta più di dover fare annunci di advertising a risposta diretta, ma di mettere gli elementi essenziali in un cartellone di 6 metri x 3.

Ma passiamo a un altro esempio di advertising senza gli elementi essenziali per vendere.

In primo piano una modella su una bellissima spiaggia, in alto a sinistra il copy recita: “I ritoccatori fotografici si confondono quando sono affamati”.

Prestando più attenzione ci si accorge di un dettaglio che non dovrebbe esserci: una mano in più sulla spalla della ragazza.

La morale della favola è che il cartellone crea l’effetto che Victor Schwab nel suo “How to write a good advertisement” chiama effetto So-What, cioè quell’annuncio che ti fa pensare “ok, e quindi?”

(se ti leggi il libro di Schwab citato sopra, capiresti davvero quanto fallimentari sono queste pubblicità)

Il copy ti dice che i ritoccatori di foto affamati hanno cali di attenzione, ma oltre a strapparti un sorriso, non ti dà nient’altro.

Ti fa dice che uno Snickers può aumentare la concentrazione? Che uno Snicker ti sazia? Che lo Snicker è lo snack per i ritoccatori di foto?

Oltre a non esserci la scelta del target non c’è nemmeno la promessa del prodotto e difficilmente advertisement del genere porteranno la barretta al caramello a erodere quote di mercato ai suoi avversari.

Inoltre un cartellone del genere è davvero difficile che blocchi l’attenzione, poiché ormai c’è una sovraesposizione in ogni settore di modelle in bikini sulla spiaggia.

Perché il claim degli M’n’M s creato da Rosser Reeves negli anni ’40 regge ancora oggi, o comunque reggerebbe se venisse usato ancora?

Perché Reeves aveva trovato il suo angolo d’attacco differenziante e inattaccabile, e soprattutto reale: “si sciolgono in bocca e non in mano”.

Il vantaggio di Snickers quale sarebbe?
Che se sei affamato e deconcentrato ti mangi una barretta al cioccolato non hai più fame e la tua concentrazione aumenta? Vantaggio vaniloquente, mi sembra.

Passiamo oltre.

Questa è davvero difficile anche da capire. Se riesci a cogliere il significato spiegamelo perché allora vuol dire che sono stupido io.

Il Citroen Jumper “pays for itself”, ovvero ti consente di risparmiare abbastanza denaro per rientrare delle spese del furgone?

Beh, il beneficio è interessante senza dubbio. Ma perché? Qual è il motivo?

Probabilmente dovrebbe spiegarlo il visual ma come puoi vedere è ben poco immediato.

Attira il pubblico giusto? Oddio, forse.
Blocca l’attenzione del pubblico? Decisamente no, direi.
Suscita desiderio? Men che meno.

Il vantaggio economico c’è in questo caso, ma riesci a provarlo?

È veramente tutto molto poco chiaro.

Questa è interessante perché l’idea di fondo è buona.

Il problema è che, come quasi il 99% dei prodotti per l’hair care, il vantaggio è TOTALMENTE inconsistente. E perché? Perché manca l’elemento fondamentale della reason why.

Riflettiamo un attimo. Una sottomarca di prodotti naturali ha tutte le buone ragioni di pensare di esserlo molto di più dei grandi marchi che producono in conto terzismo e destinati alla grande distribuzione. Probabilmente lo sono anche, lo shampoo più naturale sul mercato, e loro lo sanno bene.
Ma perché non lo spiegano? Perché non danno argomentazioni valide e soprattutto credibili al massimo ai consumatori per fidarsi di loro?
Lo svantaggio di un brand minore è di essere un brand minore.
Il vantaggio di un brand minore è che possono instaurare un rapporto di fiducia molto più solido di qualsiasi altro grande brand, grazie ad advertising fatto bene.

Attira il pubblico giusto ?Sì, blocca l’attenzione del pubblico sì, perché è interessante l’idea creativa; suscita desiderio forse, ma sicuramente lo shampoo più naturale in assoluto, se sei in target, ti attira.

Ma riesce a stabilire un rapporto di fiducia? Qui casca l’asino. Non c’è nulla a provare che sia lo shampoo più naturale in assoluto.

In secondo luogo, più naturale…ma di chi? Qui il pubblicitario avrebbe dovuto sapere che il cervello umano ragiona per comparazione, e quindi DEVI mettere bene in chiaro chi sono i competitori.
Più naturale di chi? Di tutti gli altri prodotti professionali? Dei prodotti della grande distribuzione? Di tutti i prodotti a base di olio d’oliva?

Qui ciò che manca è proprio il rapporto di fiducia.

Ti mostro altri due esempi di advertising e poi ti lascio andare.

Altro esempio di pubblicità d’immagine fine solo a sé stessa.
Qui oltre alla sensazione piacevole creata al cervello umano data dall’immagine di un fisico scolpito tutto sporco di fango, oltre al desiderio di essere le mani che lavano quel corpo, non c’è ASSOLUTAMENTE NULLA.

Il vero problema è qui non l’inconsistenza della campagna, che di per sé non dice nulla di nuovo su di un shampoo. Il problema qui è da dove arriva la pubblicità.

Cioè un marchio che ha almeno una decina di altri brand più noti davanti a sé.

Questo è un esempio evidente di cosa non devi fare se non sei leader di mercato e se non sei secondo nel mercato: non copiare i tuoi concorrenti.

Se Pantene, o Clear, o qualsiasi altra marca di shampoo fa pubblicità di immagine non vuol dire che quello è stato il mezzo grazie al quale hanno raggiunto quote di mercato più alte. È proprio il contrario.

Vuol dire che grazie ai loro risultati positivi, grazie a vendite sempre in aumento e a ritorni su investimenti positivi, adesso si possono permettere di prendere qualche milione di Euro e buttarlo dalla finestra in pubblicità di immagine.

Ma NON è assolutamente quello che devi fare tu, perché se il tuo marchio che occupa la quindicesima posizione per quote di mercato fa pubblicità come la fa l’azienda leader di mercato, risulta come una copia della copia e in breve tempo fallisce.

L’ultima “meravigliosa” idea creativa viene de Jeep, lo storico brand di SUV famoso in tutto il mondo.

Ok, d’accordo. Ora starai pensando “è Jeep, l’azienda leader di mercato in tutto il mondo nel suo settore, può fare più o meno il c..o che vuole”

E sì effettivamente è vero.

Questo esempio te l’ho riportati solo ed esclusivamente per mostrarti quanta pubblicità viene sfornata senza nessun obiettivo, o meglio con un unico obiettivo che è il branding.

L’effetto photoshoppato male deve necessariamente essere un effetto voluto (deve esserlo perché una merda del genere non può essere non voluta. Vero, direttore creativo di Jeep?), ma non si capisce bene quale sia il motivo.

Un primo piano di un uomo con la faccia ARTIFICIALMENTE sporca di fango e il visual del brand in basso a destra. Stop. Nulla di nulla.

Cosa c’è in comune tra tutte queste pubblicità?

Solo immagine e awareness.

E tra l’altro nemmeno così in linea con il brand dato che, per farti un esempio, la maggior parte di quelli che comprano un fuoristrada Jeep non lo usano poi per scorrazzare nella foresta e men che meno hanno voglia di tornarsene a casa sporchi di fango dalla testa ai piedi.

Questi sono in sostanza, i motivi concreti per cui non devi assumere un’agenzia pubblicitaria che ti faccia pubblicità di immagine.

Ora sappi che hai davanti ai tuoi occhi un testo scritto dall’unica persona in Italia in grado di sapere cosa è giusto per l’advertising della tua azienda, e in grado di costruirti un annuncio che rispetti ognuno dei 7 punti di John Caples per fare advertising che vende.

A patto, ovviamente, che tu abbia le idee ben chiare su come strutturare un’offerta interessante e su quali sono gli obiettivi che vuoi ottenere.

Letto questo articolo, stampatelo e appenditelo in ufficio o da qualche parte nel tuo studio.

E poi chiamami e scopri come possiamo fare per conquistare il mondo assieme.

A presto

Cosimo Errede